Scontri a Bologna, studenti diteci la vostra opinione

Tornelli, devastazione e scontri: raccontateci come vivete queste ore di tensione

L’interno devastato della biblioteca di via Zamboni 36 (Schicchi)

L’interno devastato della biblioteca di via Zamboni 36 (Schicchi)

Bologna, 11 febbraio 2017 – Quasi 6.000 contro 800. Ottocento sono i partecipanti al corteo di venerdì che ha nuovamente bloccato il traffico, creato tafferugli e danni non solo nella zona universitaria, ma in tutta la città (guarda le foto). Seimila, invece, sono i firmatari alla petizione lanciata su change.org per dissociarsi dall’operato del Cua. E voi: da che parte state? Studenti raccontateci come vivete questa ‘battaglia dei tornelli’, cosa ne pensate dei centri sociali e del loro rapporto con la vita accademica? Come vivete queste ore di grande tensione in una zona che dovrebbe essere invece dedicata allo studio, alla sapienza e alla cultura? Scriveteci alla mail online@ilcarlino.net, mandateci le vostre riflessioni: saremo felici di pubblicarle sul nostro sito per alimentare un dibattito sul futuro dell’università e dei nostri ragazzi. Come ha fatto Emilia Garuti, studentessa di Lettere, con un post che è già diventato virale.

Cominciamo a pubblicare gli interventi dei nostri lettori:

Buongiorno, da studente non posso che dissociarmi dall'operato del CUA di Bologna, un gruppo di teppisti che mettono sottosopra la città quando vogliono senza che nessuno faccia nulla. Non è la prima volta che creano disordini in città, e seppur non ci sia tanta differenza dalle volte precedenti, questa volta volta sono finiti ad avere rilevanza nazionale. Mi auguro che questa sia la volta buona per prevedere espulsioni dall'Università per chi non rispetta il regolamento di pubblica sicurezza, e divieto di dimora nella provincia di Bologna per i fuori sede. Diego Frabetti

Ho studiato e vissuto a Bologna per quasi tre anni, fino a ottobre del 2015. Da allora, sogno spesso di tornarci, perché ne sono innamorata. Ma se c'è una zona di Bologna che non mi piace, quella è Piazza Verdi. Il degrado sociale ed ambientale di quel luogo raggiungeva livelli intollerabili a volte. Inammissibili, davvero. Soprattutto se penso che è quello il cuore pulsante della zona universitaria, che su Piazza Verdi si affacciano palazzi antichi e bellissimi. Il dipartimento di Lettere e Filosofia, Palazzo Paleotti, il Teatro Verdi. Nei paraggi si trovano l’antica Facoltà di Giurisprudenza, la Biblioteca Universitaria, la mensa, i bar... Tutti posti che frequentavo quasi ogni giorno, insieme a centinaia di altri ragazzi. Nelle ore più felici, in quei pomeriggi meravigliosi di sole, mi ritrovavo ad amare Piazza Verdi, a sedermi per terra accanto alla bici, a godermi le scene a cui lì - e solo lì - potevo assistere. Ho scattato decine di foto e alcune ce l’ho ancora incollate all'armadio, in camera mia. Mi piace guardarle prima di addormentarmi, pensare al caos di quella specie di piccolo zoo umano, brulicante di gente particolare, normale, che insieme ai palazzi, ai portici, al sottofondo della musica dei locali e al vociare continuo formava un "tutto" irresistibile e indimenticabile. Ma se mi sforzo, riesco ancora a sentire quel puzzo fortissimo di urina, quell'aria nauseabonda che sollevandosi da Via del Guasto arrivava fino alle soglie del 32 e del Paleotti, dove a volte ero bloccata in fila, costretta ad inalare quell'odore e ad evitare di incrociare lo sguardo torvo dei tossici. E ancora me le ricordo le facce di quelli che abitavano - letteralmente -  il portico del Teatro, spesso troppo "presi" per darti fastidio ma a volte abbastanza in forze da scatenare una rissa, con le bottiglie che saltavano per aria e i cani che abbaiavano furiosi, mentre gli studenti passando si ritraevano, turbati, schifati e insieme divertiti dalla scena. Al 36 ci sono stata una volta sola, proprio perché non si stava mai tranquilli. Trafficatissimo, entrava ed usciva gente in continuazione. Ogni tanto mi arrivava la notizia di qualcuno che lì aveva "perso" il telefono o il portafogli, costringendomi a desistere dal tornarci. Ieri, leggendo i commenti alle proteste del CUA sui social, sono venuta a sapere, con rammarico infinito ma senza troppa sorpresa, della vicenda di una studentessa molestata da un uomo, che dopo essersi introdotto indisturbatamente in biblioteca, si è masturbato dinanzi a lei. Non capisco le ragioni del CUA e da ex studentessa mi dissocio dalla protesta. I tornelli sono un modo per salvaguardare la tranquillità degli studenti. Perché dovrebbero entrare in biblioteca coloro che proprio non hanno interesse a studiare e che se si trovano lì è per fare tutt'altro? Di spazi liberi per studiare a Bologna ce ne sono tanti. A che serve fare i vandali, smontare i tornelli del 36? Forse a creare il pretesto per scatenare la polizia, per poi farsi chiamare vittime dell'ingiusta violenza subita, come se invece fosse giusto accanirsi contro i tornelli, che peraltro gli studenti del 36 apprezzavano. I tornelli sono stati installati in seguito alla decisione (tanto attesa) dell'Ateneo di tenere aperte le biblioteche fino a tarda ora, permettendo agli studenti di trattenersi e contribuendo alla riqualificazione della zona universitaria (Piazza Verdi, via Zamboni). Se a quelli del collettivo sale la febbre della rivoluzione, perché non provano a rivoluzionare il degrado ambientale e sociale di Piazza Verdi? Farebbero senz’altro più bella figura. Annamaria Cardinali

Sto seguendo le vicende dell'università di Bologna non solo perché i miei fratelli, sorelle, figli e nipoti abbiamo frequentato università e scuole della nostra città e domando al sindaco e agli assessori dove sono? cosa stanno facendo, sono intervenuti? Non si può dimenticare che l'Università della nostra città è considerata la più antica del mondo occidentale. Non ho sentito   un intervento , una presenza, un encomio alle forze dell'ordine, non ho sentito né letto niente. Chiedo ai rappresentanti del comune di intervenire e di fare sapere alla cittadinanza gli interventi futuri  e quali sono le loro proposte. Pierangela Polacchini

Buonasera, sono uno studente dell'Unibo e in questi giorni di grande fermento, io mi pronuncio contro l’operato del collettivo Cua, non sentendomi affatto rappresentato da loro. Bologna è una città bellissima, aperta mentalmente e culturalmente, con un'aggregazione sociale e un melting pot molto ampio. Io non penso che l'installazione dei tornelli mini la libertà di questa città. Piazza verdi, centro nevalgico della vita universitaria di tutti gli studenti, versa in una situazione di grande degrado e quindi credo sia diventato necessario introdurli per rendere più sicuro il luogo di studio, cuore pulsante di tutte le facoltà umanistiche, al fine di poter fare una scrematura più accurata di chi può entrarci. Io prendo le distanze da questi teppisti che si professano anarchici o comunisti, i quali stanno mettendo a soqquadro la città. Io penso che si possa esercitare il diritto di protestare se non si è d'accordo con questa decisione, in altri modi però, non per forza ricorrendo alla violenza e agli scontri con le forze dell'ordine. Il loro è un atteggiamento squadrista, in quanto questi soggetti stanno imponendo con la forza un loro modo di pensare, che però non è conforme a quello della maggioranza degli studenti che frequentano l'università di Bologna, hanno rispetto della città ed hanno il diritto in questo periodo di sessione d'esami di frequentare liberamente, senza nessun intralcio i luoghi di studio. A Bologna esistono molte biblioteche pubbliche, bellissime e che possono essere accessibili da chiunque. Io credo sia giusto limitare l'accesso al 36 solamente agli studenti dotati di badge, come avviene in ogni parte del mondo. Premetto però che sono anche contro l'azione del manganello da parte delle forze dell'ordine e che in questa situazione il rettore ha preso una decisione estrema chiamando il loro intervento. Io credo che si sarebbe potuta trovare una mediazione attraverso un'apertura al dialogo, al fine di trovare un compromesso.Perché in questo modo si è soltanto contribuito ad accrescere il clima di tensione.  Luca Di Tanna

Mi chiamo Edoardo, studio Filosofia a Bologna da circa sei mesi, non tanto tempo ma il necessario per prendere coscienza dell'ambiente che mi circonda. Via Zamboni non è un posto tranquillo, al contrario è un continuo fluire di vite, storie, idee ed opinioni. A volte capita che una di queste idee di passaggio assuma una certa risonanza e c'è chi la accoglie nella propria causa, chi invece la respinge, opponendosi. Questo è il caso della cosiddetta “manifestazione dei tornelli” (nome fittizio da me inventato), che in pochi giorni è riuscita a creare una netta spaccatura dividendo gli studenti della scuola di Lettere tra coloro che sostengono questa causa appoggiando il CUA, il collettivo a capo dei manifestanti, e chi invece si dissocia da questa iniziativa, sostenendo l'iniziativa dell'università tanto criticata. Io ho fatto due passi indietro, e senza schierarmi per nessuna delle due parti mi limito a comunicare. Sono proprio questi i due problemi che individuo nel fallimento di queste manifestazioni: le parti e la comunicazione. Dal punto di vista dei collettivi le parti sono due: o sei con noi contro l'istituzione, o sei contro di noi. Quest'ultima posizione comporta passività nei confronti del potere e del cambiamento, implicando il rifiuto indiretto di quei valori di cui i collettivi si fanno portatori, valori sempre più confusi e meno definiti.  Questa netta divisione delle parti, la creazione di un dentro e un fuori implica altri due problemi, riguardanti la comunicazione.  Il primo problema riguarda il dialogo tra le organizzazioni (collettivi) e gli studenti, a mio avviso una comunicazione che tutti danno per scontato, ma che si presenta nel quotidiano in forme fallimentari. Gli studenti non sono coinvolti nel dibattito riguardante i problemi per i quali si manifesterà. Spesso molti studenti (soprattutto coloro che non seguono il collettivo interessato) vengono a conoscenza di problemi proprio quando la manifestazione inizia. Il mancato dialogo tra collettivi e studenti contribuisce a creare quell'immagine del collettivo “antagonista”, disposto a trasformare qualsiasi problema come occasione per contestare il potere dell'istituzione. Inoltre i pochi tentativi di comunicazione del collettivo presentano una retorica volta a sottolineare la lotta al potere, tralasciando gli argomenti che animano la protesta. Anche sui social chi critica viene accusato di passività nei confronti del potere, questo non fa che nutrire il pregiudizio nei confronti di questi collettivi. Il secondo problema riguarda la comunicazione tra collettivi e istituzione. I collettivi dovrebbero comprendere che l'università è una istituzione e il corteo o l'occupazione non sono metodi di comunicazione istituzionali. Le inesistenti risposte dell'università nei confronti di tutte le proteste degli ultimi mesi dovrebbero darne conferma. Se l'università non risponde alle richieste non è solo sintomo di chiusura nei confronti degli studenti, probabilmente è da considerare anche un errore di comunicazione. L'università dovrebbe però instaurare un dialogo più diretto con gli studenti, cercando di aprirsi di più alle loro richieste. La repressione delle manifestazioni con la violenza non soddisfa il malcontento e legittima i manifestanti a reagire con altrettanta violenza contro le forze dell'ordine o contro lo stesso rettorato dell'università. I problemi di comunicazioni diventano quindi violenza, che si traduce nel tentativo delle due parti di sopraffarsi l'un l'altra, rendendo presso pressoché impossibile il dialogo. Edoardo Dal Borgo

Sono almeno quattro anni che studio all'Università di Bologna, e per tutto quel tempo ho sopportato la vista di manifesti di propaganda del Cua. E adesso che la Biblioteca di via Zamboni 36 ha dovuto chiudere i battenti, pochi giorni dopo il battesimo di quelle nuove porte di vetro (i cosiddetti "tornelli"), non mi rimane che esprimere la più formale dissociazione dalla vita e da ogni attività di tale collettivo che non merita la qualificazione di studentesco, dal momento che né io né altri miei colleghi di studi riconosciamo i nostri ideali nelle ideologie che il Cua ha eletto a propria ragione d'essere. Proprio l'installazione di quelle porte faceva parte del programma di riqualificazione di quel centro universitario che fa capo a via Zamboni, quel programma a cui il Cua non ha voluto piegarsi per non vedere il degrado e la desolazione di quella zona che si vanificavano. In quattro anni da studente di Statistica mi sono sempre tenuto distaccato dagli scenari delle rivolte, ma ho sempre e comunque odiato delle organizzazioni del genere; mai prima di ieri sono dovuto passare dall'ingresso chiuso di un luogo di studio entrato in un coma da cui non so se altri spazi di questo Ateneo verranno salvati. La certezza emersa di cui ho preso atto è una sola: il Cua con la sua semplice esistenza non fa che ledere l'immagine e il cuore dell'Università più antica d'Europa; non merita la solidarietà di noi veri studenti, né altra forma di stima da parte degli organi dirigenziali all'infuori di una delibera di immediato scioglimento che causi definitivamente un vento di pulizia su tutta questa città. Vincenzo Rapanà

Ieri sera a Bologna c’è stato uno scontro tra la celere e degli studenti dell’univ…. ah no. Perché tutto quello che leggerete oggi su quello che è successo negli scorsi giorni parlerà di studenti contro polizia, di forze comuniste contro l’oppressione dell’amministrazione universitaria. Ma la verità è ben diversa per chi, come me, ha vissuto tutto questo in prima persona. Partendo dall’inizio: Al ritorno dalle vacanze natalizie noi studenti di lettere, filosofia e DAMS, che abbiamo quasi tutte le aule in Via Zamboni, abbiamo trovato il numero 36 (spazio adibito a biblioteca e sala studio) chiuso per lavori. Una settimana fa circa,i lavori sono finiti e il 36 è stato riaperto: l’amministrazione universitaria, visto che è stato deciso di prolungare l’orario di apertura fino a mezzanotte, aveva fatto installare telecamere e tornelli, in modo tale da poter far accedere a questo spazio solo gli studenti muniti di badge. Per molti studenti, tra cui la sottoscritta, questa è stata una gran bella idea: il 36 è sempre stato un luogo degradato, con scritte ai muri, spacciatori nei bagni, in cui si sono sempre consumati episodi poco gradevoli. E qui entra in gioco una piccola minoranza della comunità di Via Zamboni (è giusto parlare di comunità, dato che questa via del centro storico di Bologna ospita un ecosistema che va oltre i semplici studenti universitari, giustamente oserei aggiungere) alla quale i tornelli al 36 non vanno bene perché a detta loro “si tratta di una biblioteca di un’università pubblica e quindi deve essere aperta a tutti”. Questa piccola minoranza, che si fa chiamare Collettivo Universitario Autonomo o Cua (che conta anche membri non studenti universitari), ha deciso, senza chiedere nulla agli altri studenti, che il 36 è “un numero libero” e quindi, fregiandosi della (ahimè troppo inflazionata) bandiera rossa del comunismo, hanno nottetempo rotto le telecamere e tolto i tornelli. Già qua molti studenti si sono sentiti offesi: quelle misure di sicurezza erano state pagate anche con i nostri soldi quindi la decisione di togliere i tornelli o meno doveva spettare a tutti. Ma andando avanti: il 36 è stato quindi nuovamente chiuso dall’amministrazione per aggiustare i danni, facendo quindi perdere a tutti gli studenti in un momento delicato come la fine della sessione invernale, un luogo di studio davvero importante. Quelli del Cua allora, hanno deciso di occupare la biblioteca, a loro ingiustamente strappata, e il 9 febbraio, hanno aperto la biblioteca (illegalmente) dichiarandola occupata. Molti studenti, anche non simpatizzanti del Cua, trovando la biblioteca aperta, vi sono andati a studiare. L’università però ha deciso che la misura era colma, ed ha chiamato la Celere per uno sgombero. La biblioteca ne è uscita distrutta. Il Cua ha usato i mobili come proiettili, dopo che la celere aveva iniziato lo sgombero… per fortuna nessuno si è fatto male. Fatto sta che noi studenti ora ci troviamo non solo senza biblioteca ma anche tacciati di violenza… malgrado il Cua sia una minoranza ristrettissima ma purtroppo molto rumorosa. Ieri sera comunque, si è giunti al culmine: vi è stato uno scontro tra i manifestanti (non proprio pacifici) e la polizia. Dico non proprio Pacifici, perché volevano benissimo venire alle mani… come ci si spiega altrimenti lo scudo di plastica usato per contrastare la polizia, i tubi di ferro usati per combattere, i numerosi petardi fatti scoppiare molto prima che la manifestazione iniziasse? Per fortuna anche ieri sera, nessuno si è fatto male (=nessun morto)ma  sono stati fermati 3 studenti. Sono stati scritti moltissimi articoli e post su questa faccenda in cui vengono spiegate molto bene le ragioni di noi studenti che io non dirò qui.. Questo articolo, infatti,l’ho scritto  per altri tre motivi - far capire al CUA che noi studenti non vogliamo disordini, ma solo dei luoghi tranquilli dove studiare, e se i tornelli sono la soluzione ben vengano, ma non azzardatevi a prendere decisioni per tutti quando la maggior parte di noi non è stata minimamente interpellata! - dare una visione dall’interno dei fatti, troppi giornali stanno leggendo la situazione malissimo, e questo mi intristisce un po’. - E infine agli altri studenti universitari come me, che si erano illusi di poter fare l’università senza schierarsi politicamente: beh ragazzi .. dobbiamo fare qualcosa! Abbiamo potuto far finta che non ci riguardasse per troppo tempo, ora è venuto il momento di agire… altrimenti ci saranno sempre persone che decideranno per noi, e i recenti avvenimenti provano che non sanno quello che noi realmente vogliamo: solo noi possiamo saperlo. Anna Matteucci

Salve, io sono una studentessa dell’unibo che tra pochi giorni si laurea in psicologia ed è da due anni che vado al 36 quasi ogni giorno. Cio' che e' successo a Bologna realmente ha dell' incredibile! Da chiarire che gli affollatissimi cortei che sono avuti (più di mille persone) hanno sfilato per le strade della citta per un motivo ben preciso: dei poliziotti sono entrati in assetto antisommossa e hanno cominciato a menare, a spingere, a manganellare persone che stavano studiando, alcuni di loro non sapevano nemmeno niente della questione "protesta per tornelli". Hanno inoltre distrutto l aula studio, spaccando sedie, buttando I libri, rompendo I lampadari.... I poliziotti hanno fatto tutto questo... sulla maggior parte dei giornali ci sono scritte cose opposte alla verita'... al corteo di oggi hanno sfacciatamente di nuovo caricato gratuitamente... molti hanno preso manganellate... merola e ubertini... non siamo nel 77? Avete ragione... Io non sono del C.U.A. e non mi sono mai avvicinata al collettivo, sono una di quelle che il rettore Ubertini ha premiato come una dei 238 studenti e studentesse migliori dell’ università di Bologna. Il C.U.A si sta comportando da signore, difendo a spada tratta l’operato del C.U.A. in questo caso. La violenza vera è stata da parte delle autorità, noi del 36 e tutti quelli che hanno appoggiato la protesta di reazione violenta ne abbiamo fatta ben poca, ammetto, a malincuore! Abbiamo solo beccato botte innocentemente e dobbiamo essere anche giudicati Criminali? Criminale è chiunque appoggi l’operato del questore, del rettore, della direttrice. Se la stampa non da spazio a questi messaggi anche la stampa è criminale Antonella Nardone

Buongiorno, siamo due studenti dell'UniBo iscritti al terzo anno di Economia: Arianna Pistilli e  Lorenzo Vicari. Innanzitutto non condividiamo i motivi della protesta: non ci sembra che l'introduzione dei tornelli costituisca una violazione della libertà degli studenti, ma un modo per preservare il diritto allo studio. L'accesso ad una biblioteca universitaria dev'essere garantito solo agli studenti, e opzionale per altri. Conosciamo bene la situazione di via Zamboni e della zona universitaria, e riteniamo un provvedimento di questo tipo adeguato e necessario, soprattutto considerando la lodevole iniziativa di tenere aperta la biblioteca fino a tardi. Detto questo, è chiaro che l'uso della violenza deve sempre rimanere l'ultima risorsa per le istituzioni. Ci chiediamo se ci sia stato un tentativo di dialogo costruttivo, e - in caso sia avvenuto - come mai e per colpa di chi non si sia riusciti a risolvere la questione senza sguainare i manganelli. Un approfondimento su questo tema, che il Resto del Carlino ha l'autorevolezza per pubblicare, sarebbe utile per assegnare le quote di responsabilità per i danneggiamenti e la chiusura della biblioteca, che sono - questi sì - limitazioni al diritto allo studio. Arianna Pistilli e Lorenzo Vicari

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