
Sinisa Mihajlovic volle rendere pubblica la sua malattia e lo fece nel corso di una conferenza stampa
Bologna, 26 maggio 2025 – Il lavoro come passione fino all’ultimo: gli appuntamenti con la sua squadra non potevano essere saltati. Questo è stato Sinisa Mihajlovic anche nei ricordi di Francesca Bonifazi, direttore dell’Unità operativa complessa Trapianto e Terapie cellulari del Sant’Orsola che lo ha avuto in cura fin dalla scoperta della malattia, la leucemia mieloide acuta.
La vittoria della Coppa Italia da parte del Bologna è il grande risultato di un percorso iniziato da Sinisa Mihajlovic . Come lo ricorda il rapporto con la squadra nei periodi di ricovero?
"Abbiamo parlato tante volte del fatto che il lavoro deve essere una passione e lui ci teneva tantissimo al suo lavoro di allenatore. Ricordo che durante tutti i ricoveri, io l’ho avuto tanto tempo Sinisa con me, gli appuntamenti con la squadra non li saltava mai. Quando lui doveva essere ricoverato c’era da fare il collegamento con la tv e quando faceva l’allentamento non voleva che entrasse nessuno nella stanza”.
La sua stanza di ospedale diventava la panchina del Bologna.
"Sempre nelle more di quello che era possibile, ma lui era un organizzatore, quindi avvertiva che in quel tal giorno c’era l’allenamento, ad esempio dalle 14 alle 16, e chiedeva che in quel lasso di tempo non gli venissero fatte trasfusioni o attaccassero la terapia. Io gli dicevo: va bene, ma sempre che sia possibile. Ma abbiamo sempre cercato di fare in modo che non mancasse a quell’appuntamento con i suoi calciatori, perché ci teneva tantissimo”.
Dopo cosa succedeva?
"Quando andavo in camera, dopo l’allenamento, riuscivo a capire un po’ gli umori della giornata: a volte era arrabbiato, altre volte decisamente contento e raccontava che era importante anche essere severi. Mediare tra la severità e l’affetto, non solo con la squadra, ma anche con i figli. Ne abbiamo parlato sempre molto. Era una persona molto precisa, organizzata e puntuale. Ricordo una cosa buffa”.

Ce la può raccontare?
"Certo. C’era un giocatore che aveva il mio stesso cognome, che mi sembra arrivasse spesso in ritardo: Sinisa lo aveva sgridato e gli aveva detto: ‘Guarda c’è solo una cosa che ti salva, hai lo stesso cognome di una persona a me molto cara”.
Lei è diventata tifosa del Bologna grazie a Mihajlovic, se non ricordo male.
"Vero. Non ho mai seguito, ma non per snobismo: per le tante cose da fare tra lavoro, famiglia. Poi ho conosciuto anche la società e si è creato un bel rapporto”.
La finale di Coppa Italia l’ha vista?
"Certamente, credo che l’abbiamo vista tutti a Bologna. L’ho vista da casa con il televisore che ho comperato su spinta di Sinisa, prima non l’avevo. Quando, una notte che ero lì con lui, gli dissi che non avevo la tv, lui mi chiese come era possibile e che lui ne aveva una bellissima, molto costosa. E io dissi che per comperarne una come la sua mi ci volevano mesi di lavoro e lui sottolineò che medici e infermieri erano pagati troppo poco, che non era giusto. E il giorno che fosse guarito dovevamo andare insieme dalla Meloni per parlare di questo enorme problema”.
Con la famiglia è rimasta in contatto, dottoressa?
“Sì, soprattutto con Arianna, la moglie ma anche con le figlie. Ci siamo sentite pochi giorni fa e ci scriviamo”.