Solidarietà e alloggi Un anno di Casa Emilia "Più che fare i conti vogliamo dare valore"

Oggi il bilancio del progetto di Aiccon e Fondazione Sant’Orsola. Venturi: "Abbiamo messo in campo un grande lavoro per i pazienti"

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di Francesco Moroni

"È interessante non solo dare una rendicontazione del bilancio del primo periodo di attività, ma provare anche ad attribuire un valore a quello che si è fatto, partendo dalla generosità dei bolognesi e dal lavoro messo in campo per intercettare le risorse". Un anno di Casa Emilia, un anno di aiuti e generosità. Il progetto è nato dalla stretta collaborazione tra Aiccon - il Centro Studi promosso dall’Alma Mater e da numerose realtà, pubbliche e private, operanti nell’ambito dell’economia sociale - e Fondazione Sant’Orsola, attraverso cui la Fondazione offre un alloggio prima e dopo il ricovero, o durante le terapie, ai pazienti che, da fuori regione o provincia, da soli o accompagnati dai propri cari, arrivano al Policlinico per ottenere le cure di cui necessitano. L’impegno di Aiccon e della Fondazione nasce dalla volontà di attivare un processo di orientamento all’impatto della propria attività allo scopo, da un lato, di cominciare a strumentarsi per lo sviluppo futuro di sistemi sempre più integrati di valutazione e gestione dell’impatto generato e, dall’altro, di dare evidenza, anche ai promotori della Fondazione stessa e ai donatori, del valore che gli interventi generano. Il bilancio del primo anno di Casa Emilia sarà presentato oggi pomeriggio in via Oberdan dal professor Paolo Venturi, direttore di Aiccon.

Venturi, dare valore quindi, non soltanto rendicontare. "Un conto è quando si parla delle persone aiutate, supportate: è fondamentale farlo e tenerne traccia per una Fondazione, ma non può bastare. Per noi il discorso va posto in maniera diversa: non si vogliono solo contare i servizi offerti e le risorse raccolte, ma dare valore e capire quali cambiamenti siano stati generati attraverso questo tipo di attività. Al di là degli investimenti e dei soldi raccolti, delle donazioni ricevute, quindi oltre un punto di vista prettamente economico. Quello che emerge è che questo tipo di attività rispondono ai bisogni delle famiglie, e le fanno anche risparmiare, oltre a portare altri grossi vantaggi per il territorio".

Quali?

"Mi vengono in mente, ad esempio, le associazioni e i volontari che con queste attività aumentano le proprie competenze. L’interazione è legata al rapporto con i dottori e i medici, non solo con i pazienti, oltre che all’ottimizzazione dei rapporti con sul territorio. Si può dire, infatti, che questi rapporti nascono da un soggetto privato, come la Fondazione, che si occupano di interesse pubblico e lo fanno attivando il territorio e i cittadini. Tutto questo dicendo: ‘Guardate, questo è un bene pubblico, ma per rimanere tale è indispensabile che tutti concorriamo nel sostenerlo".

In che modo?

"Deve diventare un bene comune, una sorta di responsabilità di ciascuno. E i dati ci mostrano come Casa Emilia sia diventata un bene di tutti, un bene comune. Questo tipo di attività sono all’origine della competitività dei territori".

Una maggiore qualità dei servizi si traduce in una maggiore qualità della vita e attrattività del territorio?

"Sì, perché quello che emerge da questo primo anno è un grande capitale sociale, una grande trama di relazioni tra imprese, persone, pubblico e privato, profit e no profit: questa trama di relazioni fa la felicità di un territorio".

L’Emilia-Romagna la fa da padrone in questo discorso?

"Se questa regione è considerata all’avanguardia, non è merito soltanto della qualità dei servizi pubblici, ma anche della qualità di questo tipo di progettualità".

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