Spaccio al Pilastro di Bologna, il silenzio dei Labidi

Padre e figlio si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. L’avvocato Salernitano: "Non era Yaya a trasportare gli 8 chili di hashish"

Alcuni dei pusher immortalati al ‘lavoro’ al Pilastro dalla polizia

Alcuni dei pusher immortalati al ‘lavoro’ al Pilastro dalla polizia

Bologna, 29 maggio 2022 - Faouzi Ben Ali Labidi e suo figlio Mohamed hanno scelto la strada del silenzio. Ieri mattina, comparsi di fronte al gip per l’interrogatorio di garanzia, con il loro avvocato Bruno Salernitano hanno deciso di avvalersi della facoltà di non rispondere, "in attesa di visionare tutto il carteggio – spiega il legale –. I miei clienti vogliono collaborare e una volta che avremmo chiaro l’impianto accusatorio siamo pronti a rendere spontanee dichiarazioni". L’avvocato Salernitano difende anche il figlio minore di Labidi, Yassin detto ‘Yaya’ per cui, ancora diciassettenne all’epoca dei reati contestati, procede il tribunale dei minori. "Anche lui è pronto a chiarire la sua posizione, ammettendo le sue responsabilità. Ma solo riguardo alle condotte effettivamente commesse. Perché, come nel caso dell’acquisto di 8 chili di hashish, che gli viene contestato in concorso con Monir Samia e lo zio Salah Eddine Karmi, riteniamo ci sia stato uno scambio di persona. Il ragazzo ripreso dalle telecamere che sposta il sacco con la sostanza non è Yaya. E siamo pronti a dimostrare che non si trovava lì, quel giorno".

Ieri dovevano essere ascoltati anche Karmi, suo cognato Oert Mustafaj e il nipote Samia, difesi dagli avvocati Roberto D’Errico e Giovanni Voltarella. Ma a causa di un problema legato al trasporto dei detenuti dalla Dozza al tribunale, l’udienza si sarebbe dovuta tenere in videoconferenza. Fatto al quale l’avvocato D’Errico si è opposto, portando il giudice a ricalendarizzare l’udienza a domani. I tre fanno parte della famiglia Rinaldi, ritenuta dalla Dda, che ha coordinato le indagini della squadra mobile, il clan egemone al Pilastro. E ne sono ai vertici. Lo stesso Karmi, intercettato dalla polizia, si vantava del suo potere: "Li faccio diventare matti (i poliziotti, ndr)", diceva. E sapendo di essere sempre nel mirino, si attrezzava contro le intercettazioni. Con tanto di rilevatore di frequenze in casa: "Alle 4 di mattina il poliziotto è uscito e ha fatto rumore con la porta – raccontava a un vicino – (...) Allora gli è venuto il dubbio (...). Io sono venuto il giorno dopo e ho portato l’apparecchio. Ho sentito il rumore (del rilevatore) e le ho trovate... Poi l’ho tirata fuori... E quando l’ho tirata fuori la polizia si è incazzata".

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