CLAUDIO CUMANI
Cronaca

Storia della Dc: il partito-nazione che fece l’Italia

Oggi in Salaborsa il libro scritto da tre studiosi. Pombeni: "Fondamentale la capacità dialettica".

Storia della Dc: il partito-nazione che fece l’Italia

Storia della Dc: il partito-nazione che fece l’Italia

Professore, ma è ancora credibile il motto secondo il quale ’moriremo democristiani’?

Paolo Pombeni, professore emerito nel dipartimento di Scienze politiche dell’Unibo, risponde in maniera articolata: "La risposta è no se pensiamo a com’era la Dc, ovvero un partito-nazione fondato su un diffuso ‘comun sentire’ che non esiste più. Credo però che sia possibile ricostruire una formazione capace di rimettere in piedi un sentimento di convivenza nazionale". Pombeni è autore, con i colleghi Guido Formigoni e Giorgio Vecchio, del corposo volume edito dal Mulino ‘Storia della Democrazia Cristiana’ che ricostruisce le vicende dalle origini alla parabola finale di una forza che per 50 anni (dal 1943 al 1993) è stata il perno principale del governo del Paese. L’opera viene presentata oggi alle 18 in Salaborsa con Pier Ferdinando Casini e Pierluigi Castagnetti. Coordina Giovanni Egidio. È il primo libro che, grazie alla nuova disponibilità di archivi pubblici e privati, traccia questa parabola cercando una equilibrata storicizzazione lontana sia dalla demonizzazione che dal rimpianto.

Che ne è stato dell’eredità di questa forza politica?

"Tutti i partiti hanno cercato di raccoglierla, anche perché il maggioritario chiede sia alle forze di destra che a quelle di sinistra aggregazioni larghe. Ma il tentativo di recuperarne la storia non è semplice. La Dc era fondata sulla capacità di sbiadire le bandierine dell’identità e tendeva a diluire la cultura cattolica intesa in senso stretto". La Dc è stata l’Italia?

"E’ stato un partito con una storia complicata che ha cercato di essere l’Italia nella ricostruzione post-bellica e nella fase del centrosinistra. E questa visione ha condizionato anche altri schieramenti, facendo ad esempio del Pci una forza sempre meno operaia e sempre più popolare. Direi che questa fase dialettica finisce negli anni ‘70 con il sacrificio di Aldo Moro".

Una formazione politica dalle molte anime. Le correnti sono state un bene o un male?

"Sono state utili in origine perché hanno tenuto insieme uno schieramento con tendenze diverse e sono servite per dare spazio ai vari modi di essere della Dc. Sono state dannose quando sono divenute centri di potere incapaci di elaborare idee ma pronte a occupare poltrone". Per quale ragione la Dc ha espresso tanti leader di rango?

"Gli statisti sono frutto della circolazione delle élite prodotte dal ‘45 in poi dall’incubatore cattolico. Non solo politici, però. Penso anche alla nascita di una classe dirigente che dentro la tv o l’industria di Stato ha lavorato a lungo. La filiera si rompe quando l’appartenenza ecclesiale torna tale. I potenti, inoltre, non gradiscono reclutare giovani che li potrebbero mettere in ombra".

Quando arriva il punto di crisi?

"La svolta giunge dalle sfide altissime che pone il Concilio Vaticano II che la Dc non riesce a comprendere. Il partito comincia ad apparire conservatore, senza idee e attaccato al potere. Le forze politiche muoiono quando diventa sterile il discorso sulla creazione del futuro e vince il tatticismo per difendere quello che si è ottenuto".

Come mai manca una data di nascita del partito?

"Democrazia Cristiana è il nome dato nel Dopoguerra alla presenza dei cattolici in politica a partire dal movimento di don Sturzo. Dal partito popolare e dall’Azione cattolica si comincia a creare una classe dirigente che supera la frattura fra Chiesa e politica moderna e si concentra sulla costruzione degli italiani e sull’invenzione di un mondo nuovo".