Bologna, strage 2 agosto 1980. Mattarella: "Eliminare le zone d'ombra"

Il ricordo e la commozione, 39 anni dopo la bomba alla stazione. Bonafede: "Negligenza decennale dello Stato". L'autobus 37 apre il corteo

Strage di Bologna, la commemorazione del 2 agosto (FotoSchicchi)

Strage di Bologna, la commemorazione del 2 agosto (FotoSchicchi)

Bologna, 2 agosto 2019 -  Ancora risuona quel boato che 39 anni fa ha spezzato l’Italia in due. Due agosto 1980: la data è incisa sul cuore di Bologna (foto) nella perenne ricerca della verità, immortalata da quelle lancette ferme alle 10.25. “Una verità che sta ancora pagando la negligenza dello Stato in tutti questi decenni - ha detto il ministro della giustizia Alfonso Bonafede (video), alla sua seconda volta sotto le Torri -. La mia presenza qui non è nulla di speciale, anzi è doverosa, bisogna dire grazie all’impegno di tutte le associazioni, profuso da sempre in modo costante. Il tempo del silenzio è finito: l’anno scorso mi ero impegnato con i fatti, promettendo dei passi avanti verso la trasparenza delle indagini e la ricerca dei mandanti. Oggi torno con un processo di digitalizzazione degli atti avviato e la crescente sensibilità di un governo che vuole riconquistare la fiducia dei cittadini”. 

La chiave resta - come sempre - la desecretazione degli atti, e la ricerca dei mandanti, un punto che Paolo Bolognesi, presidente dell’Associazione familiari delle Vittime ha ribadito nella sala del Consiglio comunale. “Il bailamme sulla pista palestinese è una ricerca di deviare l'opinione pubblica dall'indagine sui mandanti, è un depistaggio fatto ad arte. La verità sui mandanti deve essere appannaggio di tutte le istituzioni e della nazione, è un passo avanti per la democrazia. Dobbiamo pensare al futuro, a cosa lasciamo: ci sono ancora buchi neri in giro, cerchiamo di riempirne qualcuno per andare avanti”.

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Veri e propri ‘coni d’ombra’ da eliminare, anche secondo il Capo dello Stato, Sergio Mattarella (video), intervenuto con un messaggio poco dopo il minuto di silenzio (video) in piazza Medaglie d’Oro: “Le istituzioni, grazie all'opera meritoria dei suoi uomini, sono riuscite a definire una verità giudiziaria, giungendo alla condanna degli esecutori e portando alla luce la matrice neofascista dei terroristi. L'impegno profuso non è riuscito, tuttavia, a eliminare le zone d'ombra che persistono sugli ideatori dell'attentato. E' una verità che dovrà essere interamente conquistata, per rendere completa l'affermazione della giustizia”.

E a stretto giro è arrivato da Roma l'impegno dei due presidenti di Camera e Senato Elisabetta Casellati e Roberto Fico: "C'è un impegno comune che mira a portare avanti il processo di declassificazione e digitalizzazione dei documenti delle commissioni di inchiesta. Ed è significativo che proprio nella giornata di oggi si tenga sul tema un tavolo tecnico fra le due amministrazioni per individuare i prossimi passi, con l'obiettivo di realizzare un portale unico parlamentare in cui rendere disponibili atti precedentemente classificati o comunque non direttamente accessibili al pubblico".

Il ministro Bonafede ha commentato poi così la proposta del centrodestra, appoggiata dal M5s, di una Commissione bicamerale d'inchiesta su dinamiche e connessioni del terrorismo interno e internazionale con la strage di Bologna: "La Commissione d'inchiesta rappresenta sempre un elemento e uno sforzo in più da parte dello Stato nella ricerca della verità. Questo perché, mentre in una situazione normale la politica deve fare giustamente un passo indietro rispetto al lavoro della magistratura, una Commissione di inchiesta può essere di grande supporto, sia per la ricerca della verità che per la condivisione della verità". 

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IL PROCESSO BIS E LE INDAGINI SUI MANDANTI

Dalla sala del consiglio ai sanpietrini di via Indipendenza, fino al palco della stazione, sotto quell’orologio fermo alle 10.25. Solo applausi hanno accompagnato il cammino del corteo (video), quella fila interminabile di familiari con al petto il classico fiore, preceduta per la prima volta dal passaggio dell'autobus numero 37, uno dei simboli della strage: fu utilizzato per trasportare i cadaveri in obitorio. Dopo essere rimasto per decenni nel museo dei trasporti, negli ultimi tempi è tornato a far parte delle commemorazioni. In piazza Medaglie d'Oro il sindaco Virginio Merola ha parlato anche di “quella Bologna che non dimentica. Quella Bologna che può diventare un esempio di ricerca della verità. La ferita dello stragismo fascista è ancora aperta, e bisogna continuare a indagare per dare una risposta alla grande domanda sui mandanti”.

"Per quanto riguarda le desecretazioni c'è ancora molto da fare. Occorre comprendere come proseguire in questo percorso di verità e trasparenza che è essenziale per lo Stato e per la salute della democrazia", ha aggiunto la vice presidente della Camera, Maria Elena Spadoni

La mattinata ha visto anche l’intervento del presidente della Regione, Stefano Bonaccini: “E' indispensabile recuperare la memoria di un fatto così segnante, per una terra come la nostra che ha visto consumarsi alcuni dei più grandi drammi del ‘900. Come Regione, continueremo a mettere a disposizione il nostro impegno e le nostre risorse per perseguire la ricerca della verità. Un impegno morale e civile - ha concluso - che deve unire le istituzioni a prescindere dal colore politico”.

Zuppi: "Non avremo pace finché non ci sarà giustizia"

"Non avremo pace finché non ci sarà giustizia. Ce lo ricordano le ferite dei sopravvissuti, visibili e nascoste, dolorose nella carne e ancora di più nello spirito". Sono parole dell'arcivescovo di Bologna Matteo Zuppi, che subito dopo la commemorazione per l'anniversario del 2 agosto 1980 ha celebrato la messa nella chiesa di San Benedetto dedicata alle vittime della strage alla stazione.

"Questo giorno, così intenso e doloroso, aiuta ognuno di noi e tutta la nostra città a ritrovare se stessi", ha detto Zuppi nella sua omelia. "Non si attenua, con l'inesorabile passare degli anni, l'orrore per l'accaduto ma anche la forza di solidarietà che suscita. Avviene sempre così nei momenti importanti (e dovremmo imparare a non aspettare le emergenze per cercare l'unità di intenti e mettere da parte quello che divide), perché in essi capiamo che non c'è tempo da perdere". Dunque, ha proseguito Zuppi, "smettiamo di accusarci in un clima di competizione che perde di vista il vero nemico, ricordiamo che siamo tutti abitanti della stessa casa, esposti agli stessi problemi, fratelli che abbiamo in realtà bisogno di tutti. Il ricordo delle vittime ci rende, se siamo umani e cristiani, tutti loro familiari. Sono tutte nostre". "Quel dolore e quei dolori, che facciamo difficoltà ad immaginare (ogni volta che leggo o ascolto i racconti di quelle ore, che diventano improvvisamente una vita, ne resto come tramortito ed è così importante conservare le immagini e i ricordi) rendono insopportabile ogni piccola complicità con il male – ha sottolineato ancora Zuppi – ad iniziare dall'indifferenza, che cancella la vista e il sonoro delle vittime, come se non ci riguardassero. Onoriamo la memoria di coloro ai quali è stata tolta la vita scegliendo sempre la via della solidarietà e dell'attenzione a chi soffre".

2 agosto 1980, che cosa è successo e cosa sappiamo finora

L'orologio su Piazza Medaglie d'Oro si è fermato per sempre alle 10.25. Anche oggi, dopo 39 anni, le lancette sono ancora ferme lì.  A quell'ora, infatti, il 2 agosto 1980 una bomba disintegrò la sala d'aspetto di seconda classe della stazione di Bologna. La stazione era piena di famiglie  che partivano per le vacanze o di lavoratori fuori sede che tornavano a casa. Fu una strage. La strage per eccellenza. Il più grave attentato terroristico avvenuto in Italia nel secondo Dopoguerra: 85 i morti (la vittima più piccola aveva tre anni) e 200 feriti. 

Dopo lunghi processi, negli anni '90, sono stati condannati in via definitiva, come esecutori materiali, gli ex terroristi 'neri' dei Nuclei armati rivoluzionari (Nar) Giuseppe Valerio Fioravanti, la moglie Francesca Mambro (entrambi all'ergastolo) e Luigi Ciavardini (a trent'anni).

Ma dopo 39 anni (come ricorda il manifesto di quest'anno 'firmato' dai parenti delle vittime) è ancora mistero sui mandanti. Non solo. Sul fronte giudiziario sono infatti due i procedimenti in corso. C'è un'inchiesta proprio sui mandanti della Procura generale di Bologna che (ottobre 2017) aveva avocato a sé le indagini dalla Procura ordinaria. Nel massimo riserbo, gli inquirenti hanno sentito alcune persone e inoltrato rogatorie in Svizzera su conti correnti anche riconducibili al venerabile maestro della loggia massonica P2, Licio Gelli, morto nel dicembre 2015 e condannato per il tentativo di depistare le indagini sulla strage. Il fascicolo conta già alcuni indagati.

Già, perché con l'ipotesi di concorso nella strage è finito recentemente indagato Paolo Bellini, ex militante di Avanguardia Nazionale. Revocata dal gip, infatti, la sentenza del non doversi procedere emessa dal tribunale di Bologna (aprile 1992) nei confronti dell'ex Primula Nera. Fondamentale un fotogramma (estrapolato da un filmato amatoriale) in cui compare il volto di un uomo vicino ad un binario negli attimi successivi allo scoppio, ritenuto dalla Procura generale somigliante al Bellini. Un altro indagato è l'ex agente dei servizi Quintino Spella, per depistaggio.  Invece, sull'altro versante, è in corso il processo davanti alla corte di Assise di Bologna che vede alla sbarra l'ex Nar Gilberto Cavallini, imputato per concorso nella strage del 2 agosto con l'accusa di aver dato supporto logistico ai tre esecutori materiali già condannati. 

Fin qui la verità cristallizzata nei processi, quella della strage fascista, a cui mancano appunto i mandanti. Ma nel corso degli anni non sono mancate ricostruzioni 'alternative' alla matrice neofascista, mai sfociate però in verità processuali. Come la cosiddetta pista palestinese, quella secondo cui l'attentato fu una ritorsione dei palestinesi contro l'Italia che aveva violato il cosiddetto Lodo Moro arrestando un leader del Fplp. Su questo filone Procura e gip hanno già archiviato tutto, ma esponenti politici, fra cui Gero Grassi, ex deputato Pd e già componente della Commissione Moro, chiedono la desecretazione di atti che racconterebbero una verità diversa da quella ufficiale. 

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