Strage di Bologna, gli occhi lucidi di Marina Gamberini: "La verità andava scritta"

La sopravvissuta all’attentato era in aula: "La mia foto, un simbolo mio malgrado In questo processo è stato documentato chi ha ordinato tanto male"

Bologna, 7 aprile 2022 - "Questa pagina andava scritta". Marina Gamberini ha assistito a tutti i processi legati alla strage del 2 agosto alla stazione. Lei, che è diventata, suo malgrado, il volto di quella carneficina, era in aula anche ieri mattina. E ha ascoltato il presidente della corte Francesco Caruso pronunciare la sentenza che ha condannato, all’ergastolo, l’ex Primula Nera di Avanguardia Nazionale Paolo Bellini. "Un passo in più, verso una verità che è finalmente stata cristallizzata", dice.

Sentenza strage 2 agosto: Marina Gamberini
Sentenza strage 2 agosto: Marina Gamberini

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Signora Gamberini, come sta? "Mantenere l’equilibrio, oggi, non è semplice. Non è semplice non farsi prendere dall’emozione, ogni volta. Ma si va avanti, con un impegno psicologico altissimo. E aiuto, sempre. Perché io c’ero. Ed è impossibile non rivivere, sempre, quel momento. Quel dolore".

Cos’è importante per lei oggi? "Noi volevamo capire. Per anni, abbiamo chiesto di sapere chi avesse ordinato tanto orrore. Quarantadue anni. E al di là della sentenza, che è importantissima, è quello che è emerso, quello che si è detto nel corso di questo processo a essere fondamentale. In questo processo si è formalizzato, in atti, un pezzo di storia d’Italia che per troppo tempo è stato ipotizzato, sussurrato, nascosto. Solo accennato".

Ci sono voluti più di quarant’anni. "Meglio tardi che mai. Quello che gli avvocati hanno fatto è stato un lavoro enorme, possibile soltanto grazie alla digitalizzazione degli atti. Che ha permesso di incrociare fatti e testimonianze, documenti e date... Che ha permesso di seguire la strada dei soldi e arrivare a chi ha voluto questa strage, a chi l’ha ordinata. Gli esecutori materiali sono importanti, ma secondari. Se non fossero stati loro, chi ha commissionato la strage non avrebbe faticato a trovare altri disposti a fare tanto male".

Pensa che i documenti emersi in questo processo possano tracciare la strada per dipanare le nebbie su altre storie nere di quegli anni? "Sicuramente. E penso che se fossero emersi prima, forse si sarebbe potuto evitare tanto altro".

Cosa pensa del ruolo di Paolo Bellini? "Fatico a esprimermi. Preferisco non farlo".

Cosa ricorda di quel giorno? La sua fotografia, il suo volto mentre la portano via in barella, è diventata l’immagine simbolo della strage. "Ma io non voglio vederla, mi dà quasi fastidio. Non sono io importante. Io non vengo qui per me, perché chiedo giustizia per una questione personale. Lo faccio per chi non c’è più. Per chi non è sopravvissuto. Ho raccontato migliaia di volte quella mattina, ripercorso ogni volta quel dolore. Che è sempre vivo, non passa mai".

È un dolore che però lei ha trovato tante volte la forza di rivivere, per testimoniare quello che la strage di Bologna è stata. "Io vado nelle scuole a raccontarlo ai ragazzi. Testimoniare la memoria, per rendere i più giovani consapevoli che nella loro vita possono stare dalla parte del bene o del male. Ed è una loro scelta, che comporta conseguenze".

 

 

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