Strage di Bologna, indagini e processi sulla bomba alla stazione del 2 agosto 1980

Da tempo ci sono i nomi degli esecutori materiali, la lente della Procura generale sui mandanti. Ultime notizie

Il lavoro dei soccorritori subito dopo la strage di Bologna del 2 agosto 1980 (Ansa)

Il lavoro dei soccorritori subito dopo la strage di Bologna del 2 agosto 1980 (Ansa)

Bologna, 30 luglio 2020 - Il "quinto uomo" della bomba, i mandanti della P2, esponenti delle forze dell'ordine accusati di depistaggio. Il tassello mancante, il lato oscuro da portare alla luce sull'orrore del 2 agosto 1980, la Procura generale oggi è convinta di averlo in pugno.

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Ci sono da tempo i nomi degli esecutori materiali: Valerio Giusva Fioravanti e la moglie Francesca Mambro condannati all'ergastolo con sentenza passata in giudicato. Definitiva anche la decisione su Luigi Ciavardini, 30 anni. Ergastolo, ma ancora in primo grado, per Gilberto Cavallini, arrivato l'8 gennaio scorso.  E ora ci sarebbero i finanziatori, gli organizzatori, ma soprattutto i mandanti.

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Chi, cioè, armò gli ex Nar. Uno su tutti: Licio Gelli, il venerabile maestro della P2, condannato in via definitiva nel 1995 per depistaggio. Lui, secondo i magistrati, avrebbe dato nelle mani di Mambro e Fioravanti, incontrati a Roma il 31 luglio 1980, un milione di dollari distratto dal crac Ambrosiano, per fare saltare la stazione e lasciare sull'asfalto 85 persone, oltre a 200 feriti.

Poi Umberto Ortolani, braccio destro e l'uomo della finanza della P2, il potente prefetto Federico Umberto D'Amato, direttore dell'ufficio Affari riservati del ministero dell'Interno, e Mario Tedeschi, direttore della rivista 'Il Borghese' ed esponente dell'Msi. Tutti e quattro sono morti e per loro non potrà mai esserci un processo, né una sentenza di condanna o di assoluzione. "Ma conoscere i loro nomi - dice Paolo Bolognesi, presidente dell'Associazione familiari delle vittime del 2 agosto - è fondamentale". 

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Se però per loro è stata chiesta inevitabilmente l'archiviazione, per altri quattro la Procura generale vuole il processo. A partire dall'ex primula nera di Avanguardia Nazionale, accusato di concorso nella strage, il reggiano Paolo Bellini. "A Bologna, quel 2 agosto, io non c'ero - dice lui al Carlino - e lo dimostrerò".

Bellini venne indagato lo scorso anno grazie all'identificazione in un video girato da un amatore subito dopo l'esplosione della bomba alla stazione. Il suo volto, con riccioli e baffoni, è stato poi riconosciuto anche dalla ex moglie durante l'interrogatorio di novembre: "Purtroppo è lui". 

Infine ecco i presunti depistatori: l’ex generale del Sisde Quintino Spella, oggi 91 anni e malato, e l’ex carabiniere padovano Piergiorgio Segatel, i quali avrebbero sviato le indagini dei magistrati nel 2019. Insieme a Domenico Catracchia (falso al pm), amministratore di condominio di immobili in via Gradoli a Roma, dove passarono i Nar e prima ancora le Br. Per tutti loro è stato chiesto il giudizio con l'udienza preliminare che dovrebbe essere fissata a novembre, subito dopo il deposito delle motivazioni della condanna a Cavallini.

Per collegare mandanti ed esecutori, i magistrati e la Guardia di Finanza hanno seguito il flusso di denaro. Circa cinque milioni di dollari, partiti da conti svizzeri riconducibili a Gelli e Ortolani e alla fine - un milione - arrivati ai Nar. Denaro iniziato a transitare dal febbraio del 1979 e fino al periodo successivo, agli organizzatori, fino ai depistatori.

La chiave di volta è stato il lavoro fatto sugli atti del crac del Banco Ambrosiano e sul 'documento Bologna', sequestrato nel 1982 a Gelli. Il pizzino riportava l'intestazione 'Bologna - 525779 - X.S.', con il numero di un conto corrente aperto alla Ubs di Ginevra dal capo della P2. A questo c'è un riferimento in uno degli atti considerati più importanti dagli investigatori, il 'documento artigli'.

È un appunto per il ministro dell'Interno, classificato come riservatissimo, datato 15 ottobre 1987 e firmato dall'allora capo della polizia Vincenzo Parisi, dove si ricostruiva il colloquio tra il legale di Gelli, Fabio Dean, ricevuto nell'ufficio del direttore centrale della polizia di prevenzione Umberto Pierantoni.

"Se la vicenda viene esasperata e lo costringono necessariamente a tirare fuori gli artigli, allora quei pochi che ha, li tirerà fuori tutti", disse Dean, parlando del suo assistito, in quel momento in carcere e di lì a poco interrogato, anche sul 2 agosto 1980.

"Facile fare un processo ai morti - chiosano gli avvocati di Gilberto Cavallini, Alessandro Pellegrini e Gabriele Bordoni - i quali non possono nemmeno difendersi. Che interessi poteva avere Gelli, uno degli uomini più potenti d'Italia, a far saltare la stazione ferroviaria di Bologna? I Nar erano quattro ragazzotti incontrollabili e pensare che Gelli e la P2, con i quali non ci sono mai stati contatti, li avrebbero finanziati con un milione di dollari per poi abbandonarli, è pura follia".  

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