Strage di Bologna, i soldi di Gelli: "Ancora punti oscuri"

Il gip Zavaglia respinge la richiesta di misura cautelare per Bellini. Non c’è pericolo di fuga, né di inquinamento delle prove

La strage di Bologna del 2 agosto 1980

La strage di Bologna del 2 agosto 1980

Bologna, 8 gennaio 2021 - No, non c’è esigenza cautelare nei confronti di Paolo Bellini. L’ex primula nera di Avanguardia Nazionale da oltre un anno sa dell’indagine: se avesse voluto scappare, l’avrebbe già fatto. La gravità del delitto di cui è accusato – la strage del 2 agosto – è mostruosa, è indubbio. La pericolosità sociale dell’imputato, dati i suoi precedenti, pure; ma da almeno vent’anni non risultano più suoi contatti con la criminalità. Per quanto riguarda l’inquinamento delle prove, si fa riferimento a un messaggio inviato alla ex moglie, in cui chiede documenti degli anni Ottanta: secondo il giudice, più probabilmente cercava materiale per la difesa, non da fare sparire. Insomma: alla richiesta della Procura generale della custodia cautelare in carcere per Paolo Bellini, di cui si chiede il giudizio come "quinto uomo" che piazzò la bomba in stazione il 2 agosto 1980, il giudice per le indagini preliminari Francesca Zavaglia risponde di no. Un ’no’ motivato da una lunga ordinanza – 129 pagine – in cui si ripercorrono le tappe delle indagini nei confronti di Bellini, puntando l’accento su come, nonostante la gravità indiziaria nei suoi confronti, questo non significa che esistano da parte sua rischi tali da giustificare una misura cautelare. Mentre un velo d’ombra il gip lo stende su una delle basi dell’inchiesta della Procura generale: il significato reale dell’ormai noto ‘documento Bologna’, sequestrato a Licio Gelli, e il flusso di denaro distratto dal Banco Ambrosiano e poi confluito nel conto svizzero destinato a finanziare la strage. Perché se Zavaglia riconosce la presenza a Roma, a fine luglio ’80, di Gelli con il factotum Marco Ceruti e di Francesca Mambro e Giusva Fioravanti (due dei Nar condannati in via definitiva come esecutori della strage), ricorda come non sia sufficiente a dimostrare l’avvenuta consegna del milione di dollari in contanti, ’acconto’ per la strage. Assieme agli 850mila dollari destinati al potente prefetto legato ai Servizi Federico Umberto D’Amato, già vicino a Avanguardia nazionale (gruppo di estrema destra in cui militava Bellini) e ai 20mila al giornalista Mario Tedeschi. Tutti oggi deceduti. Sulla gravità indiziaria, invece, il giudice sottolinea come tutti gli elementi indichino come quel 2 agosto di quarant’anni fa Paolo Bellini – alias Roberto Da Silva – fosse in stazione. Elemento di per sé non sufficiente a provare che abbia preso parte alla strage; ma non va dimenticato come questi abbia sempre negato con forza di essere stato anche solo presente a Bologna, quel giorno. Servendosi anche di un’alibi poi rivelatosi falso e precostituito: la vacanza al passo del Tonale con la famiglia che lo avrebbe collocato in viaggio al momento dell’esplosione della terribile bomba. La bomba che causò 85 morti e 200 feriti. Una strage che ora, per gli inquirenti, è riduttivo ricondurre allo spontaneismo armato dei Nar – oltre a Mambro e Fioravanti, Luigi Ciavardini e Gilberto Cavallini, quest’ultimo condannato in primo grado –, e sarebbe piuttosto da inserire nella ’strategia della tensione’ di piazza Fontana e della Loggia. Un contesto in cui "l’aviere" si sarebbe inserito non solo in quanto militante di Avanguardia Nazionale, ma anche, per l’accusa, per il rapporto di collaborazione che avrebbe intrattenuto con i Servizi stessi. I quali avrebbero potuto facilmente ingaggiarlo come esecutore dell’attentato.

Ma perché, e con che ruolo, l’ex primula nera sarebbe stata in stazione quell’afosa mattina? A quanto si ricostruisce, coinvolto per il legame con i Servizi e già ideologicamente vicino al contesto, avrebbe svolto un compito operativo e di controllo delle forze convogliate quel giorno per l’attentato. Qui appunto s’inseriscono il flusso di denaro di Licio Gelli e il ’documento Bologna’. I cui troppi punti oscuri, per il gip, non ne permettono la piena comprensione (quando esattamente fu scritto, per esempio, e perché?). Riferimenti "inquietanti" alla strage, certo, restano. Ma l’unica evidenza resta questa: i soldi di Gelli erano tantissimi, e al di fuori di ogni controllo.

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