Sul palco Risate di gioia con Bucci e Sgrosso

Al via lo spettacolo all’Arena del Sole. Dalla Duse a Pezzana, i fantasmi degli attori del passato: "Evochiamo sempre ciò che è stato"

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di Claudio Cumani

Eccoli lì, Totò ed Anna Magnani sessant’anni dopo la loro ultima passeggiata sul Lungotevere ripresa nella sequenza finale del film Risate di gioia di Mario Monicelli. O meglio, eccole qui le maschere dei due vecchi mostri sacri usate per ricordare i mestieri e le figure della scena del tempo che fu. Si intitola, appunto, Risate di gioia-storie di gente e di teatro la creazione di e con Elena Bucci e Marco Sgrosso che debutta domani alla sala Salmon dell’Arena del Sole dove resterà fino a domenica 30. E sono due immaginari Totò e Magnani a ritrovarsi nella notte di Capodanno, a inizio spettacolo, nel buio di una platea abbandonata tra sipari cadenti, riflettori bruciati e nidi di uccelli. E’ lì che rivivono i fantasmi dei grandi attori del passato (Eleonora Duse, Giacinta Pezzana, Antonio Petito) ma anche le memorie di suggeritori, trovarobe, portaceste. Biografie, epistolari, saggi (di Sergio Toffano e Vito Pandolfi) sono all’origine di questo viaggio (coproduzione Ctb, Ert e Tne) alla scoperta di una moltitudine operosa che ha trascorso la propria vita dietro le quinte. Un viaggio nostalgico e poetico, filtrato dalla sensibilità e dai saperi dei due interpreti.

Bucci, che arco temporale copre il vostro racconto immaginario?

"Il focus è racchiuso nel periodo che va dal teatro ottocentesco alla nascita del cinema, novità che inizialmente svuotò le platee. L’idea mi è venuta tempo fa visitando il teatro di Russi prima del restauro, un luogo abbandonato che si animava con sospiri e respiri antichi. Perché, accanto a quello che vediamo, noi evochiamo sempre, anche se inconsapevolmente, ciò che è stato e che sarà. Bisogna slegare corde e quinte per far diventare il teatro una mongolfiera".

Con quale criterio sono stati decisi gli artisti?

"Ogni esclusione è stata dolorosa e ogni nome evocato rimanda ad altri. Il pubblico riconosce i personaggi attraverso piccoli segni non didascalici. Qualcuno, come Eleonora Duse, parla a nome di tutti perché chi non è meteora raccogliere i saperi altrui. Chiunque sta in teatro, anche se appartiene alla massa che sussurra nel buio, è portatore della sfida per una vita coraggiosa".

Una diceria diffusa vuole che i vecchi attori tradizionali mancassero di introspezione. E’ un luogo comune?

"In realtà anche loro, gli interpreti storici, ritenevano opportuno allontanarsi dalle pose convenzionali e dalla falsità per diventare più autentici. E anche loro si ritrovavano a fare i conti con le insidie del mestiere come più o meno capita a noi oggi. Il conflitto sta proprio fra il desiderio di essere veri e quello di piacere al pubblico. Mai come in questo periodo esiste una manipolazione demagogica della popolarità".

Scrive che, con l’arrivo del cinema e della tv, il teatro è cambiato. Quanto incide, invece, sulla scena contemporanea l’avvento della rete?

"Internet ci influenza e non è male che il teatro assorba i segni del presente, a patto che non li insegua e faccia capire le differenze. Non bisogna uniformarsi al linguaggio ma essere altro. Il teatro è un’arte che si consuma dal vivo, non ripetibile, fatta di silenzio: ha caratteristiche molto diverse da quello che viene suggerito dalla rete".

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