Tempi e scelte dei controlli nelle residenze

Valerio

Baroncini

Quella scelta l’avevano fatta la Regione e le Ausl e forse non era del tutto sbagliata, in linea di principio. Bene, benissimo, se però all’orizzonte non ci fosse stata – e adesso, solo adesso capiamo di cosa parliamo – la pandemia, con la sua aggressività da bufera. Per un certo periodo chi aveva grandi numeri, medici e infermieri in servizio si era quasi trovato in difficoltà. L’idea degli amministratori era più quella di creare degli ‘alberghi’ per anziani. Beh, nella bufera che sgronda soltanto le strutture davvero ‘sanitarie’ si sono salvate: parliamo di quelle con una direzione sanitaria, un medico che giorno dopo giorno ‘vive’ con gli ospiti. Forse anche queste grandi residenze non sono inviolabili, ma intanto... Difficile pensare che chi riceve(va) – ora le regole sono cambiate e da qualche settimana è in azione una task force – le visite del medico di medicina generale una volta la settimana possa (potesse) essere sollecito nell’individuazione dei casi di Covid-19 e completamente ‘attivo’. La storia (e anche la politica sanitaria) non si fa con i ‘se’ e, dunque, veniamo all’oggi. E’ evidente che a soffrire maggiormente siano state le strutture medio piccole. Ed è altrettanto evidente come, all’inizio della pandemia, non siano state controllate dal ‘pubblico’ come gli ospedali. Questo non è facile da accettare, ma è comprensibile. Quello che emerge, dai racconti dei familiari delle vittime del Covid-19, è però uno scollamento fra molte case protette e gli ospedali, fra le strutture e i ‘controllori’ pubblici. Un senso di incomunicabilità, non di disorganizzazione, che fa male due volte nella tragedia. Un senso di fragilità, più che di sottovalutazione. Ecco questo non deve più ripetersi. E speriamo che le nuove regole servano davvero.

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