Tentato omicidio Bologna, pm chiede processo. "Avvelenò la moglie"

Secondo l'accusa, versò farmaci nel succo di frutta. La difesa: "Siamo innocenti"

La donna fu portata al Sant’Orsola e salvata dai medici

La donna fu portata al Sant’Orsola e salvata dai medici

Bologna, 9 maggio 2019 - Dovrà essere processato perché, il 25 luglio di due anni fa, tentò di avvelenare la moglie somministrandole alcuni farmaci. Questa la richiesta della Procura nei confronti di un uomo di 54 anni accusato di tentato omicidio, che arriva a due mesi dalla chiusura delle indagini del sostituto procuratore Antonello Gustapane.

«E noi ci difenderemo – chiosa l’avvocato Massimo Leone che rappresenta l’oggi imputato assieme alla collega Maria Beatrice Berti – perché siamo innocenti e ci sono diversi elementi che lo dimostrano. Da parte del nostro assistito non c’era nessun interesse a somministrare certe sostanze a sua moglie».

Il legale ricorda anche una prima richiesta di archiviazione, poi rigettata dal Gip che ordinò nuove indagini da parte della Squadra Mobile, che portarono alla svolta.

Le accuse. Quel giorno di mezza estate, nella loro abitazione di via Mazzini, il 54enne, originario di Imola, cercò di ammazzare la moglie, 50 anni della città (rappresentata dall’avvocato Alessandro Veronesi), tramite «sostanze venefiche» versate in alcuni bicchieri di succo di frutta. In particolare, secondo l’atto d’accusa di via Garibaldi, «una dose tossica pari a quattro flaconi di Lormetazepam (farmaco ad azione ansiolitico-ipnotica, ndr) unitamente all’Amitriptilina», un antidrepessivo dalla cui intossicazione acuta «può derivare l’evento morte». Non solo. Fatto questo, stando sempre agli addebiti, «nonostante avesse constatato il sonno profondo e lo stato di incoscienza che si protraeva da molte ore» della coniuge, lui non avrebbe «in alcun modo» tentato di soccorrerla chiamando un medico o il 118.

Salvezza. E quelle precarie condizioni della 50enne le avrebbe tenute nascoste pure alla suocera, addirittura rassicurata al telefono dallo stesso. Quel giorno, infatti la signora chiamò insistentemente chiedendo di poter parlare con la figlia, senza però averne la possibilità. «Dorme, stia tranquilla», la riposta che continuamente le arrivava. Sentita a sommarie informazioni, la donna raccontò alla polizia che quella situazione e quel «sonno protratto della figlia dichiarato dal genero», l’avevano insospettita.

E a dar man forte a quei dubbi, c’era un altro elemento, come ricorda la stessa Procura negli atti: «Il respiro affannoso della 50enne che la madre udiva attraverso il telefono». Così aveva deciso di andare a vedere con i propri occhi, ottenendo conferma una volta arrivata in via Mazzini dove aveva trovato la figlia in stato di incoscienza. Il resto lo hanno fatto il 118, avvertito dalla mamma, e i medici della Rianimazione del Sant’Orsola con le cure che hanno permesso alla paziente di espellere le due sostanze. Sostanze confermate anche dalla consulenza della tossicologa Elia Del Borrello, nominata dalla Procura, che ora chiede il processo per il 54enne. «Ma quello sostanze – chiude l’avvocato Leone – non le ha somministrate il nostro assistito e lo dimostreremo».

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