Bologna, teschio della grotta: fu un antico rito funebre

Mistero svelato dall’Alma Mater: il cranio trovato al Parco dei Gessi, risalente a 5mila anni fa, presenta delle lesioni praticate dopo la morte

Il ritrovamento nella grotta Marcel Loubens: il cranio datato 5mila anni

Il ritrovamento nella grotta Marcel Loubens: il cranio datato 5mila anni

San Lazzaro, 5 marzo 2021 - Segni che paiono riconducibili a una manipolazione tipica degli antichi riti funerari. È questo il risultato di lunghe indagini compiute dagli studiosi dell’Alma Mater, e pubblicato sulla rivista Plos One, in merito al cranio di una donna ritrovato nel 2015, recuperato dagli speleologici nel 2017, nella grotta Marcel Loubens, nel parco dei Gessi, a San Lazzaro.

Un complicato caso archeologico che un team di esperti dell’Università di Bologna ha ora risolto. Il cranio appartiene a una giovane donna, di età compresa tra i 24 e i 35 anni, vissuta nell’Età del Rame (Eneolitico), in un periodo compreso tra il 3.630 e il 3.380 avanti Cristo. Il suo cadavere, o forse solo il teschio rinvenuto, doveva essere stato manipolato con operazioni di pulizia dei tessuti molli, forse nell’ambito di un rituale funerario. Il ritrovamento del cranio risale al 2015, e fu trovato a 26 metri di profondità durante l’esplorazione di un nuovo ramo della grotta Marcel Loubens, nell’area centrale di una grande depressione carsica chiamata Dolina dell’Inferno. Il reperto è stato rinvenuto in cima ad un pozzo verticale alto 12 metri. Non si conosce la causa della morte della giovane donna, ma dalle analisi doveva aver subito prolungati stress metabolici durante l’infanzia. Le carie presenti in alcuni molari suggeriscono poi che seguisse una dieta ricca di carboidrati.  

Ma l’elemento più interessante riguarda le lesioni sulla superficie del teschio. Queste suggeriscono che la testa doveva essere stata oggetto di manipolazioni effettuate probabilmente nell’ambito di un rituale funerario. C’è inoltre un elemento in più: tra le lesioni individuate dagli studiosi, una sembra legata ad un intervento, forse chirurgico, di cui rimane una piccola traccia attorno alla quale c’è un alone rossastro, forse dovuto all’applicazione di ocra, pigmento usato in ambito funerario già nel Paleolitico.

Ma come ha fatto il cranio a finire in una grotta in assenza di altri reperti antropologici e archeologici nelle vicinanze? Gli studiosi hanno analizzato i sedimenti all’interno del cranio. Questo ha permesso di ipotizzare che il cadavere della donna fosse stato inizialmente posto sul bordo della Dolina dell’Inferno. Da qui le intemperie avrebbero disperso i resti e fatto rotolare il cranio fino al fondo della dolina, dove è precipitato nella grotta da un antico ingresso di cui oggi non c’è più traccia.  

"Questa è la prima chiara evidenza di manipolazioni ’peri mortem’ di un cranio in epoca eneolitica in Italia – spiega la professoressa Maria Giovanna Belcastro, del dipartimento di Scienze Biologiche, geologiche e ambientali dell’Unibo, che ha coordinato lo studio –. Si tratta di una scoperta che offre importanti indizi per ricostruire le pratiche funerarie delle popolazioni eneolitiche che vivevano nel territorio emiliano-romagnolo. Lo studio di questo reperto ci riporta ad una visione della vita e della morte molto diversa dalla nostra. La manipolazione del cadavere, che poteva prevedere anche attività cruente, e in particolare un’attenzione specifica per il cranio, è documentata fin dalla preistoria più lontana".  

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