'Tette Fuori', ma i social le censurano

Gli ultimi manifesti di Cheap sono comparsi in via dell’Abbadia. Sara Manfredi: "Il mio profilo è stato sospeso per 24 ore"

I manifesti affissi da Cheap nelle bacheche in via dell’Abbadia

I manifesti affissi da Cheap nelle bacheche in via dell’Abbadia

Bologna, 19 marzo 2021 - Martedì pomeriggio, appena caricate su Facebook, le foto e grafiche di Tette Fuori, il nuovo intervento di CHEAP, progetto di public art attivo dal 2013 a Bologna, è stato censurato dal social americano che ha oscurato il profilo del collettivo per 24 ore. L’algoritmo di Zuckerberg non perdona, si sa. Così, grafiche, foto, testi e claim tradotti in manifesti appesi da ieri in via dell’Abbadia, che hanno come soggetto i seni delle donne come appaiono sul libro spagnolo Pechos Fuera – sulla rappresentazione dei seni nella storia dell’arte e della comunicazione visiva – non sono piaciuti. L’affissione nelle vecchie bacheche del comune é firmata in partnership con School of Feminism, piattaforma dedita all’attivismo, e la reazione dei social (anche Instagram ha operato un censura) è un punto interrogativo, secondo Sara Manfredi di Cheap. Manfredi, Facebook non ha gradito tutti questi seni e capezzoli. Ve lo aspettavate? "Di vedermi sospeso l’account personale per 24 ore no, che potessero censurare qualche foto sì. Ma che censurino tutto l’album dove ci sono anche foto di manifesti con solo testo ci pare abbastanza folle". Quindi le foto non sono tornate dopo 24 ore. "No, sono tornata solo io e se le rimettessi mi sospenderebbero per ancora più tempo. E’ una cosa abbastanza divertente questa, perché, al di là del fatto che si censuri il contenuto e te lo puoi aspettare, scatta questo meccanismo di punizione per cui l’utente viene sospeso. La cosa è interessante perché il fatto che i social siano contenitori di hate speech è un tema corrente. Nel senso che si parla molto di come gestire una comunicazione sostenibile sui social, soprattutto in Italia dove non ci sono cultura e legislazione sul tema". Le fotografie sono state giudicate alla stregua di un discorso di incitamento all’odio. "Un capezzolo viene punito dopo dieci secondi e ci vogliono invece anni e azioni legali per convincere Facebook a sbattere fuori dal network pagine e gruppi di neonazisti radicalizzati. Razzismo e sessismo non sono un problema, i capezzoli sì. Del resto il tema per cui abbiamo intrapreso questa campagna è la censura che c’è ancora sul seno delle donne in generale, e quello che è successo sul social ne è la conferma. Ma poi, mi chiedo, come fa l’algoritmo a distinguere tra capezzolo maschile e femminile? E’ automatico fare delle considerazioni a questo proposito". In questa censura social le uniche che non sono state oscurate sono le storie di Instagram. "A quanto pare, chi a Bologna è andato in via delll’Abbadia a vedere l’installazione e ha caricato foto sulle stories di Instagram, è riuscito a bypassare l’algoritmo della censura in molti casi. Ci sono delle falle evidentemente".

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