di Nicoletta
Tempera
"Lavorare sul disagio dei ragazzi, per evitare che diventi criminalità". Gabriella Tomai, presidente del Tribunale dei Minori, lo ripete a ogni occasione: "Noi arriviamo laddove la prevenzione ha fallito". E a quel punto interviene il processo, che diventa strumento per il "recupero e la rieducazione del minore". Che è il fine ultimo: "Dobbiamo credere che tutto ciò che mettiamo in campo sia per recuperare cittadini migliori", spiega la presidente Tomai. Riflessioni che accompagnano la lettura del nuovo decreto legge Caivano, elaborato dal Governo a seguito degli stupri di gruppo di due ragazzine nel Napoletano da parte di coetanei.
Dottoressa Tomai, il decreto legge Caivano va in questa direzione?
"Il dl Caivano è un intervento in via d’urgenza che prende atto del disagio giovanile, ponendo l’accento, già nel titolo del testo, sulla povertà educativa. Nell’ambito del procedimento penale minorile, viene ampliato lo spettro dei reati per cui possono essere applicate misure di limitazione della libertà, fermo restando che il carcere va sempre visto come l’extrema ratio quando si parla di minori e che i principi peculiari del processo minorile restano tali".
Il carcere non può essere l’unica soluzione. Tra l’altro il Pratello, come denunciano i sindacati, è al collasso...
"C’è un continuo allarme, la struttura è satura e c’è una carenza di personale cronica che rischia di minare il processo rieducativo. Una misura che pure è prevista per i minorenni è il collocamento in comunità, ma ne andrebbe rivista la gestione, che deve tornare in seno al ministero. Perché nella gestione privata capita, e non deve, che si confonda l’accoglienza dei ragazzi collocati in struttura ad altro titolo con quella destinata ai ragazzi in custodia cautelare".
Il problema degli organici è comune anche agli uffici del Tribunale dei minori.
"Soffriamo una grave carenza di organico in particolare tra gli amministrativi, che porta ad accumulare pesanti arretrati in particolare in relazione a procedimenti che riguardano reati meno gravi. Sulla carta nell’ufficio ci dovrebbero essere 25 operatori, già un numero insufficiente. Effettivamente, al lavoro ci sono 16 persone: il 40% in meno. Per funzionare bene l’organico dovrebbe salire almeno a 30 unità. Abbiamo cancellerie che si reggono su una sola persona. E ovviamente questo porta a rallentamenti nei procedimenti. A farne le spese sono i minori, a cui va garantito un giusto processo nei tempi opportuni, perché non si ritrovino, magari a 25 anni, bloccati da un errore commesso a 15 anni".
Sono in aumento i procedimenti penali a carico di minori?
"Il numero è stabile. Non sono in aumento neppure le misure cautelari, né le segnalazioni. Reati gravi ci sono, quelli sì".
I ragazzi sono più cattivi? O siamo noi adulti ad aver sbagliato qualcosa?
"È ipocrita affermare che la violenza minorile ci sia ‘scoppiata tra le mani’. Se i figli assumono condotte sbagliate bisogna farsi delle domande sulle capacità degli adulti, sull’esempio che i ragazzi hanno di fronte. Non c’è bisogno di andare nel metaverso per imparare la violenza: basta guardare la rabbia di cui è pieno il mondo degli adulti. Con lo stesso sguardo valuto la proposta di vietare i cellulari e i social: ci sono competenze che vanno assunte dalle famiglie, dobbiamo preoccuparci quando lo Stato si fa carico di compiti che sono propri dei genitori".
Dove non arrivano i genitori però deve subentrare la società.
"Il disagio va intercettato al suo esordio. Noi arriviamo sempre dopo. Ma se i servizi territoriali lavorano bene, è possibile intercettare precocemente situazioni di difficoltà. Ogni volta che accade qualcosa dobbiamo chiederci: dov’erano i segnali di disagio? Perché i genitori, la scuola, non li hanno percepiti? Ben vengano, in questo senso, iniziative come quella del cardinale Zuppi, di istituire oratori e doposcuola nelle parrocchie. Più attori entrano nella sfida dell’educazione, più si riesce a intercettare il disagio di questi ragazzi che, soprattutto dopo il Covid, hanno vissuto una regressione relazionale. Potremmo dire che soffrono di un analfabetismo sociale".
Ma la socialità si può ricostruire. Anche durante il processo, con strumenti come la messa alla prova, che nel dl Caivano si propone di anticipare all’azione penale in casi di reati meno gravi.
"La messa alla prova è uno strumento importante, già presente nell’ordinamento minorile e che è bello sia stato esteso anche al processo degli adulti, come accaduto con la giustizia riparativa. Che, sperimentata nel processo minorile, con la riforma Cartabia è entrata anche nel procedimento penale ordinario. La riparazione non è sempre possibile, ma è la chiave di volta della giustizia moderna. Abbiamo avuto belle esperienze in questo senso con i minori a Bologna, che hanno dimostrato il valore di questo mettersi in gioco, di imparare a crescere, ripagando con il bene il male provocato".