Tra i fantasmi di Amelia l’enigma continua

Alla Rosselli, nata il 28 marzo 1930 e suicida nel ’96, ha dedicato cinque anni di studi la pianorese Alice Zanotti che ora ne ha tratto un libro

Si riapre il caso Amelia Rosselli che proprio domani avrebbe compiuto 90 anni. E a 24 dal suicidio dell’11 febbraio 1996 (lo stesso giorno in cui, nel ‘63, si era data la morte la poetessa americana Sylvia Plath), torna d’attualità la tormentata figura della figlia di Carlo Rosselli, il creatore, insieme a Salvemini e Lussu tra gli altri, del movimento antifascista di Giustizia e Libertà, ucciso nel 1937, con il fratello Nello, a Parigi, in un’imboscata dei miliziani dell’estrema destra francese assoldati dal regime mussoliniano. Nella capitale francese Carlo e Nello erano giunti nel 1929, dopo l’avventurosa fuga in motoscafo insieme a Lussu e Gioacchino Dolci dal confino di Lipari. Racconta Alice Zanotti, 35enne bolognese di Pianoro, ora attiva nel Circolo dei Lettori di Torino: "Fin da giovanissima ho iniziato a leggere la storia di questa straordinaria famiglia, mi hanno entusiasmato l’audacia, la decisione nel lottare contro la dittatura. Così, intorno a quegli ideali, è nato un romanzo, dopo quasi cinque anni di ricerche".

Perché il titolo Tutti gli appuntamenti mancati?

"Forse lo si capisce completandolo con il sottotitolo: ‘Un ritratto immaginario di Amelia Rosselli’. Queste oltre 300 pagine, che attendono di vedere la luce non appena ricomincerà il lavoro nelle case editrici, la mia è Bompiani, sono un mix di fiction e realtà. Per esempio sono passi di pura fantasia i capitoli sull’infanzia di Amelia. Scorrendo la sua vita, si scopre poi che non fu presente ad alcuni fatti importantissimi per lei. Non c’era quando il padre e lo zio - aveva allora 7 anni - furono assassinati a Parigi; non c’era nel ‘49 quando in un ospedale di Londra morì la madre Marion Cave, una militante socialista inglese, e neanche quando se ne andò la nonna, anche lei Amelia. Fu quest’ultima, sorella di Carlo Pincherle, padre di Alberto Moravia, a starle accanto dopo il suo ritorno in Italia, a Firenze e Roma, dagli Stati Uniti e dall’Inghilterra, dove aveva studiato. Era come se Amelia non potesse mai essere in armonia con ciò che le accadeva".

Che cosa l’ha attratta dell’autrice di ‘Variazioni belliche’ e ‘Serie ospedaliera’? Non è un’autrice appartenente a un clima ormai lontano, quello degli anni ‘60 del Novecento?

"Nella sua poesia arde un fuoco poderoso, come nelle imprese della sua famiglia. Possedeva l’italiano, l’inglese e il francese, e questo le ha consentito una sperimentazione particolarmente acuta dal punto di vista del linguaggio. Inoltre era una violinista e un’etnomusicologa ferratissima, che collaborò con John Cage e con Carmelo Bene. Quello di Melina, com’era stata soprannominata fin da bimba, fu un impegno su tutti i fronti. Era la stessa meta delle neoavanguardie, anche se a lei il termine non piaceva, preferiva dirsi una poetessa che sperimentava. Anzi, ‘un poeta’, al maschile".

Si avvicinò al Gruppo 63...

"Sì, partecipando a varie riunioni, apprezzava i versi di Antonio Porta, ma i componenti del gruppo le parevano troppo presi da dibattiti teorici".

Come entrò nel mondo letterario?

"La aiutò Moravia, e fu cruciale il suo rapporto con Rocco Scotellaro, il poeta contadino originario della Basilicata, morto a 30 anni nel 1953. Un lutto che ne minò la psiche, da allora partono le prime avvisaglie del suo male".

Ebbe amici?

"Un altro che la sostenne fu Pasolini, grazie al quale nel ‘63 pubblicò 24 poesie d’inizio sulla rivista ‘Il Menabò’ di Elio Vittorini. Poi bisogna ricordare Elio Pecora, Carlo Levi, Renato Guttuso e Mario Tobino, lo psichiatra scrittore. Amelia ripeteva di avere bisogno di un uomo vicino, un marito, aveva necessità di tutto, anche di soldi, e a Tobino, dopo le relazioni con Levi e Guttuso, si rivolse esplicitamente sperando in un sì, ma lui aveva già il suo matrimonio".

Come si manifestava il suo scompenso psichico?

"Fin da adolescente ne soffriva, la morte del padre la segnò terribilmente, vedeva dappertutto spie della CIA che la braccavano, rifiutò sempre le varie diagnosi di schizofrenia maturate nei ricoveri in clinica, specie a partire dalla prima metà degli anni ‘50. Soffriva anche del morbo di Parkinson. Finché potè, espresse una grande volontà di energia, chi c’era ricorda ancora la sua lettura pubblica di sette poesie al festival di Castel Porziano, nel 1979. Quattro anni prima fu ucciso Pasolini, e nell’80 ci fu la strage di Bologna".

Qual è la fine del romanzo?

"Ci si ritrova in via del Corallo, vicino a Piazza Navona, dove Amelia visse al quinto piano negli ultimi anni romani, sola, sempre in preda alle sue ossessioni e da dove si buttò quella domenica".

Anche Renzo Paris, uno dei pochi amici stretti, l’ha voluta riscoprire in ‘Miss Rosselli’, un memoir pubblicato di recente da Neri Pozza. Come diceva la poetessa suicida, "la realtà è così pesante che la mano si stanca, e nessuna forma la può contenere". Sopportare quel peso fu il disperato tentativo di Amelia.

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