Trapianto di cuore, a Bologna sopravvivenza record

Le statistiche del Policlinico Sant'Orsola ben al di sopra della media nazionale. Gli emiliano romagnoli al top anche come donatori

L'equipe di cardiochirurgia del Sant'Orsola

L'equipe di cardiochirurgia del Sant'Orsola

Bologna, 16 settembre 2020 - La sopravvivenza a 1 e 5 anni di chi ha subito un trapianto di cuore al policlinico di Sant’Orsola è dell’89 e 80%, dato che va oltre la media nazionale che si attesta all’81 e al 73%. Ciò significa che l’ospedale di via Massarenti si piazza ai ai vertici come qualità dei risultati.

A fornire i risultati è il Centro Nazionale Trapianti che ha pubblicato una analisi dei dati di qualità dei Centri Trapianto di Cuore Italiani dal 2000 al 2018. Nel 2000, infatti, è stato istituito il sistema informativo trapianti, un registro obbligatorio presso l’Iss in cui tutti i centri trapianti sono tenuti a immettere dati sulla propria casistica.

Nel 2000-2018 in Italia sono stati effettuati 5500 trapianti in 18 centri autorizzati (i centri attualmente attivi sono 15). Il centro trapianti di cuore di Bologna, con attività per pazienti adulti e pediatrici, ha effettuato 540 trapianti (una media di 28 all’anno), risultando il terzo per numerosità dopo Milano Niguarda e Pavia.

Tra i 540 trapianti effettuati, 25 sono stati in combinazione con fegato o rene (ed in un caso con entrambi: in una paziente sono stati trapiantati cuore, fegato e rene), con una sopravvivenza ad un anno del 92%. In totale in Italia sono stati effettuati 71 trapianti combinati: Bologna con oltre un terzo del totale è il primo centro in Italia per queste particolari procedure. Questo risultato sottolinea ancora una volta l’efficienza del sistema multidisciplinare e la qualità della attività trapiantologica del Policlinico.

Risultati che pongono Bologna al vertice nazionale assieme gli altri centri Italiani che presentano un modello organizzativo di gestione dei pazienti che si fonda sulla stretta collaborazione ed integrazione tra la cardiologia, cardiochirurgia e anestesiologia e rianimazione che in modo sinergico e secondo le varie competenze seguono i pazienti nelle diverse fasi di indicazione all’intervento, ottimizzazione terapeutica, chirurgica in senso stretto e gestione post-operatoria. Questo modello, molto diffuso in Nord America, è meno frequente in Europa. 

Emiliano romagnoli gente di cuore

Tutto questo non sarebbe possibile senza la generosità dei donatori e delle loro famiglie che viene ascoltata e raccolta dalla rete di coordinamento regionale (Centro di Riferimento Trapianti) e nazionale (Centro Nazionale Trapianti) delle donazioni. In Emilia Romagna oggi i donatori per milione di abitanti sono il 23% in più rispetto alla media nazionale e viene fornito l’assenso alla donazione nel 78% dei casi, contro il 70% della media nazionale.

La storia di Maria

Il modello bolognese consente una presa in carico complessiva che oltre a garantire le migliori performance cliniche, prende in considerazione la condizione del paziente a 360 gradi. In questo senso, la storia di Maria è emblematica.

Giovanissima, 32 anni, appena sposata, Maria scopre di avere una patologia cardiaca gravissima. La sua vita cambia completamente, le cure non bastano e la sua unica possibilità di sopravvivenza diventa il trapianto. Tuttavia i tempi di attesa non sono compatibili con il suo rapido peggioramento e le viene proposto il Lvad, il cuore meccanico, che le viene impiantato sempre dalla Cardiochirurgia del Policlinico che le consentirà di sopravvivere fino a quando non riuscirà ad avere un cuore nuovo.

Il tempo passa e la situazione si aggrava ulteriormente. Maria viene inserita nella lista speciale nazionale e finalmente può sottoporsi al trapianto. Un trapianto difficile perché l’espianto del cuore artificiale allunga i tempi operatori e la complessità dell’intervento e perché la malattia primitiva di Maria, la miocardite, avrebbe potuto danneggiare anche il cuore trapiantato se la terapia immunosoppressiva non fosse stata pienamente efficace.

Ora che ha un cuore nuovo Maria, rivuole anche la sua vita di prima e riprendere da dove tutto si era fermato, quando con suo marito Mariano progettavano di costruire la loro famiglia e avere dei figli.

La gravidanza è una condizione molto delicata da affrontare in una donna trapiantata di cuore, le complicazioni possono essere molte, sia per la madre che per il bambino. Tuttavia i medici hanno compreso che permettere a Maria di avere un figlio era il modo migliore per consentirle di vivere a pieno il dono che aveva ricevuto e onorare così il gesto di chi le aveva donato il suo nuovo cuore. I cardiologi, cardiochirurghi e ginecologi del Sant’Orsola allora hanno seguito il caso di Maria in ogni aspetto fisco e psicologico, sostenendola in tutti i momenti anche difficili che ci sono stati e oggi Maria, Mariano e la piccola Emma sono una famiglia che testimonia ogni giorno l’importanza della donazione. 

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