"Trovata una ‘veste tecnica’ per classificare i reati di genere"

L’avvocato Rossella Marius dell’Unione donne d’Italia: "Precedente importante"

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"Non esiste il reato di femminicidio, non esiste un’aggravante specifica. Ma la Corte d’Assise, con la sentenza di condanna per l’assassino di Atika, è riuscita a dare una ‘veste tecnica’ a questo delitto, concedendogli una connotazione di genere e creando un precedente interessante". Così l’avvocato Rossella Mariuz (nella foto), che nel processo a M’hamed Chameck rappresentava l’Udi (Unione donne d’Italia), costituita parte civile, ha commentato il passaggio della sentenza che inserisce, nel seno dell’aggravante per i futili e abietti motivi, anche il movente femminicida. Un passaggio che va così a colmare un vuoto legislativo, in attesa che venga definito, a livello normativo, il reato specifico che configura l’omicidio mosso da moventi di genere.

"Durante il mio intervento finale – ha spiegato la legale – ho chiesto alla Corte di qualificare tutti gli eventi accaduti prima della morte di Atika come eventi premessa del femminicidio, in un crescendo di violenza che ha portato al delitto. E quindi le minacce, le aggressioni, la violazione del divieto di avvicinamento. La Corte è andata anche oltre, riuscendo a individuare un ‘contenitore tecnico’, ossia l’aggravante dei futili motivi, dove integrare le condotte che caratterizzano i femminicidi. E quindi l’atteggiamento punitivo, le condotte lesive dell’integrità di una donna in quanto donna". Atteggiamenti che la Corte ha riscontrato, punto per punto, esaminando il crescendo di violenze poste in essere da Chamekh nei confronti dell’ex compagna Atika. "Da quanto emerso in dibattimento e riportato nelle motivazione – dice ancora l’avvocato Mariuz – lui ha agito mosso da risentimento, per vendetta perché Atika si era permessa di lasciarlo. Per prevaricazione. Motivi che integrano, alla lettera, il concetto di femminicidio. Che in questa sentenza, inserito nella più ampia cornice dei futili e abietti motivi, è stato considerato un’aggravante. Un precedente inedito, che sicuramente potrà essere sfruttato in procedimenti per fatti analoghi".

All’Unione Donne d’Italia, nella sentenza, è stata riconosciuta una provvisionale di 10mila euro. "La condotta dell’imputato – scrive il presidente della Corte d’Assise Domenico Pasquariello nelle motivazioni – è stata lesiva delle finalità proprie dell’Associazione Unione Donne in ltalia, così come descritte nell’atto costitutivo, finalità concretamente e costantemente perseguite, come documentato, e dei corrispondenti diritti soggettivi che

devono riconoscersi in capo alla stessa in via autonoma", motivando così la decisione di stabilire un risarcimento per l’associazione.

n. t.

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