Bologna, 9 novembre 2023 – Ci potrebbe essere una novità per quanto riguarda la diagnosi precoce dei tumori del cavo orale: un semplice test salivare, difatti, andrebbe a sostituire la biopsia, indispensabile, al momento, per formulare una diagnosi corretta del carcinoma orale a cellule squamose (OSCC). Condizione, oltretutto, non sempre facilmente individuabile, soprattutto se di natura precancerosa.
A oggi, il test per la diagnosi di questo tumore è effettuato solamente mediante ispezione visiva da parte degli specialisti che, in presenza di lesioni sospette, invitano i pazienti a sottoporsi a una biopsia. Questi tuttavia, a volte rifiutano di sottoporsi a tale test perché troppo invasivo, lasciando così un’eventuale progredire della malattia.
I casi attualmente accertati sono oltre 745.000 segnalati in tutto il mondo e un tasso di mortalità, a 5 anni, di circa il 60%. Inoltre, il rischio di recidiva dopo l’intervento chirurgico, che va dal 17% al 30%, è più alto di qualsiasi altro tipo di tumore ed è la principale causa di morte.
Il nuovo metodo
La scoperta è stata effettuata da Studium Genetics, spin-off dell'Università di Bologna, che ha scelto l’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano come partner per introdurre la nuova metodologia nella consuetudine della pratica clinica e nell’ambito della ricerca.
Questo nuovo test epigenetico si basa sull’analisi quantitativa del livello di metilazione del Dna di 13 geni, che si è scoperto essere alterati nei carcinomi orali, e consente di individuare precocemente i pazienti a rischio di sviluppare il carcinoma orale a cellule squamose (OSCC) e il suo precursore, la displasia grave. Si tratta di una tecnica non invasiva in grado di fornire informazioni diagnostiche, prognostiche e di follow up, con un elevato grado di precisione: in uno studio multicentrico, pubblicato sulla rivista Head & Neck, si è raggiunta una sensibilità del 97% e una specificità pari al 88%.
Il test sviluppato è rapido e semplice. Una volta individuata la lesione sospetta, si raccolgono i campioni dalla mucosa orale (lingua, guancia, palato) tramite il semplice passaggio di un apposito spazzolino dotato di setole. Il campione, raccolto in una provetta e conservato a temperatura ambiente, viene processato in laboratori di riferimento utilizzando protocolli di sequenziamento e analisi bioinformatiche, quantificando il livello di metilazione del Dna nei 13 geni associati alla malattia. Viene quindi eseguito un calcolo che, mediante un algoritmo brevettato, genera un punteggio di rischio di sviluppare un cancro orale.
Questa scoperta, inoltre, andrebbe a ridimensionare la spesa sanitaria enorme.
Ricerca rivoluzionaria
I professori dell’Università Vita Salute San Raffaele del Dipartimento di Odontoiatria Giorgio Gastaldi – responsabile della riabilitazione protesica maxillo-facciale nei pazienti oncologici – e Silvio Abati – responsabile della Medicina e Patologia Orale – affermano che “gli stadi I e II del carcinoma orale a cellule squamose hanno normalmente una sopravvivenza buona rispetto agli stadi III e IV, che presentano un alto tasso di recidiva e una mortalità del 50% entro cinque anni. Purtroppo, i due terzi dei casi vengono diagnosticati allo stadio III e IV in una fase avanzata, dove l’intervento chirurgico demolitivo e ricostruttivo può essere molto impattante sull’anatomia, sulle funzionalità, ma anche sulla psiche del paziente. La vera scommessa – dunque – è riuscire ad essere molto precoci nella diagnosi: quanto prima riusciamo a intercettare il tumore in fase iniziale, quanto più la prognosi non solo sarà positiva, ma si potrà intervenire in maniera meno invasiva, senza compromettere la qualità di vita del paziente. Siamo convinti che questa tecnologia rivoluzionaria possa aiutarci a vincere questa sfida”.