Tutti i dubbi: Kram, Carlos e il lodo Moro. La pista palestinese fa ancora discutere

Un fronte trasversale critica le sentenze definitive, mentre i pm hanno esplorato (e archiviato) l’ipotesi della ritorsione araba contro l’Italia.

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di Beppe Boni

Il dubbio è un grande segno di civiltà. Segno di civiltà è anche rispettare le sentenze giudiziarie, come quella della strage di Bologna, che sono comunque elaborate da uomini che mettono insieme fatti oggettivi e legittime interpretazioni. Ma le sentenze possono non essere sempre condivise da una parte degli attori in campo, siano essi i legali che prendono parte alla partita del processo, siano essi elementi che provengono dalla società o dalla politica. La sentenza sulla strage del 2 agosto, arrivata dopo un complicato intreccio di processi, con gli ergastoli irrogati ai guerriglieri sanguinari del Nar, è dunque un punto fermo. Ad essa si aggiunge la coda recente di una inchiesta sui mandanti che rimanda l’ideazione di questo crimine orrendo a Licio Gelli, burattinaio buono per tutte le stagioni, e ad altri tre personaggi. Tutti morti.

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Ma va rispettato anche chi non condivide sentenza e impostazioni investigative successive, se lo scenario è fatto di trasparenza e privo di derive ideologiche. Tutto ciò che può servire a fugare ogni ragionevole dubbio va preso in considerazione. Lo ha detto anche il Presidente Sergio Mattarella: "L’esigenza di piena verità, di giustizia, di verità completa che è stata perseguita con determinata e meritoria ostinazione dall’azione giudiziaria, dalla sollecitazione dei cittadini, dei familiari delle vittime, contro ogni tentativo di depistaggio e di occultamento. E questo richiede che si faccia di tutto, con un impegno completo e senza alcuna riserva, perché la verità venga raggiunta in pieno". Senza alcuna riserva, appunto. Sulla condanna di Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e soci dei Nar parte della destra ha sempre nutrito dubbi, pur senza rinnegare la indifendibile carriera della coppia, ma anche ampie fasce trasversali di personaggi vicini alla sinistra o di estrazione laica e radicale sono sulla stessa linea. Nel 1994 firmarono un appello un centinaio di giornalisti e intellettuali dal titolo "E se fossero innocenti?". Comparvero nomi come Ersilia Salvato di Rifondazione comunista, Luigi Manconi, allora dei Verdi, Sandro ‘Kojak’ Curzi, direttore di Liberazione. Lo ha ribadito in questi giorni Mimmo Pinto, ex di Lotta continua, già parlamentare radicale.E allora non bisogna scandalizzarsi se c’è chi insiste sui dubbi che ruotano intorno alla strage sostenendo, cosa negata dalla magistratura, la pista palestinese che attribuirebbe la bomba alla ritorsione del terrorismo mediorientale per il mancato rispetto dei patti dell’Italia riconducibili al Lodo Moro.

Proviamo allora a mettere sul tavolo alcune domande che corrono parallele alle sentenze e rilanciate dall’Integruppo parlamentare (area centrodestra). C’è un punto, il depistaggio, interpretato a seconda dei punti di vista. I Nar vengono condannati tenendo presente anche un caso di depistaggio dei servizi deviati: l’esplosivo fatto trovare con armi e documenti sul treno Taranto-Milano. Un episodio per sviare i sospetti dai neofascisti, dicono i magistrati. Ma i documenti sul treno erano indirettamente riconducibili agli stessi Nar. Strano caso.

Pista palestinese. A Bologna il giorno della strage c’era Thomas Kram, elemento del gruppo terroristico Separat: i magistrati che archiviarono l’ indagine si accontentarono di "spontanee dichiarazioni". Non fu mai messo alle strette, mentre una nota del capo della polizia, Gianni De Gennaro, segnalava alle questure la pericolosa presenza di Kram in Italia non certo come turista. E la terrorista Margot Christa Frolich, membro del gruppo di Carlos lo Sciacallo come Kram?Il portiere di un hotel di fronte alla stazione, tal Bulgini, la indica come presente a Bologna ’1 e 2 agosto. Non fu mai avvisato il giudice Priore che indagava sulla donna, in precedenza arrestata a Fiumicino mentre portava esplosivo dalla Bulgaria. Fondamentale sarebbe conoscere tutti i telex (alcuni già usciti sul recente libro ‘La strage di Bologna’) del capo dei Servizi italiani, colonnello Stefano Giovannone, nome in codice ‘Maestro’. Da Beirut nella primavera 1980 avvertivano di possibili attentati da parte dei palestinesi, "offesi" per il mancato rispetto del Lodo Moro e l’arresto di uno di loro in Italia. I giudici di Bologna negano l’ufficialità del Lodo Moro, ma nei documenti secretati ci sono affermazioni dei nostri esponenti di governo che dialogano con gli 007 italiani e lo confermano. Desecretare questi documenti servirebbe comunque a comprendere un contesto storico. Lo chiedono a destra e a sinistra. E allora apriamo gli archivi. E perché i giudici di Bologna non hanno mai voluto sentire i componenti della Commissione parlamentare d’inchiesta Mitrokhin che collega Servizi dell’Est, terroristi italiani e mediorientali? Perché non è stata approfondita la presenza a Bologna il giorno della strage di un Brigatista rosso di cui si conoscono nome e cognome e di due straniere che avevano passaporti falsi cileni dello stesso corredo usato dai terroristi dello Sciacallo?

C’è poi la storia di Corto Maltese, alias Maurizio Folini, uomo di collegamento fra gli Autonomi e il terrorismo palestinese, riconosciuto da un testimone alla stazione prima dell’esplosione. Altro aspetto mai chiarito. Ora l’inchiesta sui mandanti illustra uno scenario di milioni di dollari versati da Licio Gelli ai Nar per allestire il massacro della stazione. Anche qui attenzione al dubbio, sostengono i legali della difesa, esponenti di Intergruppo parlamentare e altri scettici. I Nar per autofinanziarsi e vivere in clandestinità fecero decine di rapine, una anche il 5 agosto 1980. Come è possibile se davvero avevano a disposizione valigie di dollari provenienti dal Venerabile Licio Gelli? Tutto è possibile, ma troppi interrogativi non hanno risposta.

 

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