
La prof Chinni fu assassinata nel 2021 a colpi di fucile. I familiari: "Decisione della Cassazione giusta, ma nessuno ci restituirà Natalia"
"Nessuno potrà mai restituirci Natalia. Ma, almeno, è stata presa una decisione giusta". Così i familiari della professoressa Chinni, dopo che diventa definitiva la condanna all’ergastolo per il suo assassino, Fabio Ferrari. L’insegnante in pensione è stata uccisa a 72 anni il 29 ottobre 2021 mentre stava sistemando la recinzione della sua proprietà a Santa Maria Villana di Gaggio Montano e ora è arrivata la sentenza della Cassazione che ha respinto il ricorso della difesa: fine pena mai per il cugino della vittima, Ferrari, che secondo l’accusa la uccise per banali problemi di vicinato. Il 75enne era agli arresti domiciliari. I rapporti con la cugina erano da tempo rovinati. Secondo la ricostruzione dei carabinieri, Chinni è stata uccisa da sette pallettoni sparati a bruciapelo, esplosi da un fucile illecitamente detenuto, arma che non è mai stata trovata. I familiari della vittima erano costituiti parte civile, assistiti dall’avvocato Mario Bonati.
"È la parola finale di una vicenda tristissima", commenta il legale, per conto del figlio e della sorella della vittima (il marito purtroppo nel frattempo è deceduto, la vicenda ebbe su di lui un impatto terribile). "Ero certo che il quadro indiziario fosse frutto di un’attività investigativa pienamente esaustiva, ringrazio sia il pm che ha coordinato le indagini, Antonio Gustapane (ora è procuratore a Varese), sia la polizia giudiziaria, in particolare il Nucleo investigativo dei carabinieri che ha competenze anche in indagini specialistiche, come ad esempio con il comportamento dei telefoni cellulari sia dell’indagato poi diventato imputato sia della moglie sia della vittima stessa". È stata fatta una ricostruzione incrociata di dati documentali, testimoniali, della presenza in loco di entrambi in un dato momento, "che hanno consentito di ricostruire in maniera quasi scientifica l’omicidio – le parole di Bonati –. Poi ci sono state le consulenze balistiche, medico-legale e quella sulle caratteristiche del mais rinvenuto sulla scena del crimine: è stato accertato che era lo stesso presente in un sacco presso l’abitazione del Ferrari".
Questi indizi "si sono consolidati nel dibattimento", poi però "parallalmente alle indagini c’è stata un’attività sistematica di tentativi di dispersione dei mezzi di prova da parte dell’imputato: nell’affermare che aveva abbandonato da anni la caccia in occasione del sequestro delle armi all’epoca, si è spogliato di tutto un arsenale per cercare di allontare da sé l’esercizio attuale della caccia". Sia per le indagini svolte sia per le conferme in fase dibattimentale "si è arrivati alla doppia conforme, cioè due sentenze in maniera pressoché speculare che ritengono ci siano indizi gravi, univoci e precisi per attribuire l’omicidio al Ferrari. La Cassazione è stato l’ultimo tentativo di incrinare il quadro che emergeva dalle sentenze. Ritengo che sia assolutamente adeguata la pena massima prevista dal nostro ordinamento", conclude Bonati.