Uno Bianca, nessun permesso a Fabio Savi. "È mansueto solo in apparenza"

No del magistrato alle richieste di uscire dal carcere del killer. E lui scrive al Carlino: "Non nascondo rabbia inespressa, così come ipotizzato". L’avvocato: "E’ tutto inverosimile"

Uno bianca, la commemorazione delle vittime

Uno bianca, la commemorazione delle vittime

Bologna, 28 novembre 2021 - Nessun permesso premio a Fabio Savi. Il motivo? Scrive il magistrato di sorveglianza che "il detenuto – uno degli spietati killer della Uno Bianca condannato all’ergastolo, ndr – si presenta in modo tranquillo e cordiale, evidenziando subito un tratto schivo del carattere e una propensione evidente a soprassedere con l’atteggiamento su ciò che potrebbe generare tensione o ansia dentro di lui".

Un "vendicatore", aggiunge, dotato di "una furia omicida spaventosa che è stato fermabile solo dall’arresto e dall’inizio della vita detentiva". Tuttavia, il "prima e il dopo" di quegli anni contraddistinti da 24 morti, 102 feriti, 103 azioni criminali della banda, seguiti da 27 anni di carcere per uno dei suoi leader, sarebbero stati "connotati da una ’mansuetudine’ a sua volta eccessiva, prodotto di una debolezza strutturale, di una incapacità profonda di gestire emozioni forti e di una paura acuta di confrontarsi con la rabbia, il dolore, l’umiliazione".

Poi il suo "perseverare" nel non chiedere scusa per l’orrore commesso, sarebbe sinonimo di "un atteggiamento evitante e indicativo di indisponibilità ad un confronto diretto, che determinerebbe una serie messa in discussione dei propri gravissimi agiti criminali". Per il magistrato, insomma, non sarebbe "sufficiente" che Savi "si sia limitato a manifestare agli operatori il proprio dispiacere per vittime e loro familiari, sentendo il peso della colpa".

Una valutazione che il diretto interessato rigetta con una lunga lettera inviata al Carlino: "Il carcere – scrive –, unico organo preposto a valutare la mia personalità, aveva espresso parere favorevole ad una esperienza esterna giudicandomi pronto a un graduale reinserimento". Ma tutto ciò, "nel mio caso, per qualche motivo non sembrano trovare consensi da parte di chi ha potere della parola finale". Si dice "rassegnato", il sanguinario killer, che giura di "non nascondere rabbia inespressa, così come ipotizzato".

Il discorso vira sul ’giallo’ dell’assassinio di Fathi Ben Massen, il 22enne tunisino trucidato il 19 dicembre 1990 a Rimini. Un delitto mai rivendicato dai Savi, perizie balistiche poi sancirono che a sparare non furono le loro armi così come confermato dai pm. Ma con quel nome inserito dall’Associazione dei familiari delle vittime in alcuni elenchi dei parenti uccisi. "Leggo con dispiacere – continua Savi – che l’unica preoccupazione sia oggi quella di riscrivere le targhe, ben lontani dal pensiero che noi fossimo stati condannati da innocenti, oppure che il vero colpevole sia ancora in libertà da 28 anni". Le confessioni "spontanee" della banda, conclude, "hanno portato alla scarcerazione di un grande numero di innocenti condannati al nostro posto. Avevamo già il massimo della pena ed era giusto farlo, allo stesso tempo abbiamo accettato le sentenze senza ricorrere in appello".

Sulla vicenda interviene anche l’avvocato Fortunata Copelli: "Comprendo il dolore delle vittime ma non giustifico il sostituirsi di un’associazione a un organo inquirente". Il legale poi definisce "inverosimile" il nuovo rigetto di permesso al suo assistito, "impossibilitato nell’ottenere qualsiasi forma di beneficio seppur sia stabilito nell’ordinamento penitenziario per chi intraprende un percorso positivo". Ora, per Savi, inizierà un percorso di mediazione.

 

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