GILBERTO DONDI
Cronaca

Uno Bianca, la nuova inchiesta. Castel Maggiore, Pilastro, armeria. Tre stragi legate da un filo comune

Procura e Ros si concentrano su questi grandi fatti di sangue: l’ipotesi è che i Savi avessero dei complici. Vecchi reperti, tracce, Dna, impronte, atti giudiziari, foto e filmati di allora: tutto viene riletto e rivalutato. .

Da sinistra Roberto Savi, il ’corto’, uno dei capi; Fabio Savi, il ’lungo’, l’altro capo; Alberto Savi, il gregario

Da sinistra Roberto Savi, il ’corto’, uno dei capi; Fabio Savi, il ’lungo’, l’altro capo; Alberto Savi, il gregario

Le vecchie foto, gli atti giudiziari, dai verbali alle sentenze, i vecchi filmati, le impronte e le tracce di Dna, i reperti come bossoli o vestiti. Insomma, tutte le prove conservate e ogni singolo foglio che rispunta da centinaia di polverosi faldoni. È un lavoro enorme e certosino quello che stanno facendo i carabinieri del Ros, affiancati dai colleghi del Ris, nell’ambito dell’inchiesta bis aperta dalla Procura sulla banda della Uno bianca. Una rilettura fatta con occhi diversi e nuove tecnologie, a distanza di 35 anni dai fatti. Tutto viene rivisto, ristudiato e riesaminato, ripartendo da zero attraverso una visione più organica rispetto a quella delle indagini di allora.

L’obiettivo, come è stato fatto nell’inchiesta sulla strage del 2 agosto 1980 che ha portato a nuovi processi e nuove condanne, è quello di arrivare a individuare persone che all’epoca parteciparono alle azioni criminali della Uno Bianca o che coprirono i fratelli Savi. Complici o fiancheggiatori, dunque, che finora sono sfuggiti alla giustizia. Sono tre, in particolare, i fatti di sangue finiti sotto la lente di carabinieri e Procura: l’eccidio di Castel Maggiore del 20 aprile 1988, in cui furono freddati i carabinieri Umberto Erriu e Cataldo Stasi, la strage del Pilastro del 4 gennaio 1991, in cui vennero ammazzati i tre militari dell’Arma Mauro Mitilini, Andrea Moneta e Otello Stefanini, e l’agguato all’armeria di via Volturno del 2 maggio ’91, quando furono uccisi la titolare Licia Ansaloni e il carabiniere in pensione Pietro Capolungo. La convinzione degli inquirenti, anche sulla scorta delle vecchie sentenze, è che a quelle azioni criminose abbiano partecipato altre persone rispetto a quelle scritte nelle sentenze di condanna. Il terzo uomo visto nell’auto con i Savi a Castel Maggiore, il quarto uomo sulla famigerata Alfa 33 notata al Pilastro, la persona vista in via Volturno che non somigliava affatto a Fabio Savi. Fantasmi a cui non è stato mai attribuito un nome. Per gli avvocati Alessandro Gamberini e Luca Moser, legali dell’Associazione dei parenti delle vittime della Uno Bianca autori dell’esposto che ha fatto riaprire le indagini, ci furono complicità a livelli istituzionali, anche di alto livello, a partire dai servizi segreti. Per il momento, gli investigatori si stanno concentrando sul primo livello, cioè quello di eventuali altri componenti della banda.

L’eventuale livello superiore, ammesso che sia mai esistito, verrà esplorato in seguito se emergeranno elementi. Quello che è certo è che, anche grazie alle nuove tecnologie del Ris nell’analizzare reperti e tracce organiche, si tenterà di rendere utili elementi che all’epoca non vennero utilizzati. Un po’ come sta succedendo in altri casi celebri finiti alla ribalta delle cronache. Dietro la Uno bianca c’era solo la targa? Difficile dirlo. Probabilmente, però, dentro la Uno Bianca non c’erano solo Roberto, Fabio e Alberto Savi e i loro complici già individuati.