di Federica Orlandi
Nuove indagini sulla Uno Bianca. Il tanto annunciato esposto di alcuni familiari delle vittime della banda dei fratelli Savi arriva in Procura. Circa 250 pagine fitte di elementi, noti e inediti, che una decina di firmatari dell’associazione, con in testa Ludovico Mitilini e i parenti degli altri giovani carabinieri uccisi dalla banda – Mauro Mitilini, Otello Stefanini e Andrea Moneta al Pilastro, Cataldo Stasi e Umberto Erriu a Castel Maggiore – ha inviato, tramite il proprio avvocato Alessandro Gamberini, anche alla Procura nazionale antiterrorismo e, per conoscenza, a quella di Reggio Calabria che indagò sulla Falange armata. Un deposito forte anche della recente digitalizzazione degli atti sulla scia di sangue che tra il 1987 e il 1994 sconvolse la regione e non solo, con il tragico bilancio di 24 morti e 102 feriti. Fatti per cui ora scontano l’ergastolo i fratelli Savi, Fabio e i poliziotti Alberto e Roberto, e il collega Marino Occhipinti, mentre hanno scontato le proprie pene Pietro Gugliotta (18 anni) e Luca Vallicelli (tre anni e otto mesi), membri minori del gruppo.
Primo elemento da verificare, per i firmatari dell’esposto, è chiaro: quella della Uno bianca "non era una banda locale di rapinatori sanguinari, che per caso erano poliziotti, ma di terroristi". Pensarla diversamente, attacca l’avvocato Gamberini, è "violare la memoria". Ma il velo sulle loro reali mire, che si inserirebbero in un più ampio contesto eversivo, non è stato squarciato anche a causa di una "magistratura che si è esposta poco e male, chiudendo frettolosamente un capitolo scandaloso e inquietante". Parole durissime. L’intento, ora, è di cominciare facendo luce sui depistaggi che favorirono la banda. E sul ruolo che in questi ebbero "corpi dello Stato infedeli", tra cui "i Servizi". Addirittura col sospetto che Roberto Savi facesse parte di una sorta di "braccio operativo a chiamata" del Sismi e i fratelli fossero "stipendiati dall’Ufficio affari riservati di Federico Umberto D’Amato", il potente prefetto morto nel ’96 e di recente indicato dalla Procura generale tra i mandanti della strage in stazione del 2 agosto 1980.
I depistaggi a favore della banda, negli anni , hanno portato a decine di condanne di innocenti, poi annullate dopo che i diversi delitti furono attribuiti ai Savi: addirittura 58. In questo filone rientrano le testimonianze di Annamaria Fontana e ai successivi ergastoli ai pregiudicati catanesi ritenuti la ’banda delle Coop’, e di Simonetta Bersani, che fece condannare i fratelli Santagata per la strage del Pilastro.
I fari sono poi puntati sull’ex brigadiere dei carabinieri Domenico Macauda, già condannato per calunnia: "Su di lui troppi interrogativi rimangono insoluti", per l’accusa, dal ruolo che ebbe "nell’agguato" ai carabinieri Stasi ed Erriu, alla mappa della Coop di via Massarenti trovata a casa sua quattro mesi prima che la banda la rapinasse.
L’esposto però spacca in due l’associazione delle vittime. Non tutti i membri l’hanno firmato e, tra chi non l’ha fatto, ci sono la presidente Rosanna Zecchi e il vice Alberto Capolungo. "Aspettiamo la digitalizzazione degli atti, mancano pochi giorni – così Zecchi –. Che fretta c’era? I dubbi che la verità non fosse tutta lì li abbiamo sempre avuti, ma avremmo preferito discuterne insieme. Invece non siamo stati coinvolti né abbiamo letto l’esposto". Convinto invece il fronte dei parenti dei caduti al Pilastro. "Vorrei la verità prima di morire. Non solo i Savi uccisero mio figlio", dice la mamma di Otello Stefanini, mentre l’altro figlio, Alessandro, rimarca: "Erano terroristi". E Ludovico Mitilini: "Noi chiediamo solo di approfondire gli atti prodotti, per arrivare alla verità. Ognuno è libero di aderire o meno. Questo disagio mi lascia perplesso".