Uno Bianca, permesso premio per Alberto Savi

Dodici ore fuori dai carcere di Padova per l'ex poliziotto condannato all’ergastolo. Rosanna Zecchi: "I nostri morti non hanno permessi premio"

Alberto Savi in una foto d’archivio del 1995, durante il processo a Bologna (Foto Ansa)

Alberto Savi in una foto d’archivio del 1995, durante il processo a Bologna (Foto Ansa)

Padova, 24 febbraio 2017 - Uno dei killer della Uno Bianca è uscito in permesso premio, per la prima volta dopo 23 anni di carcere. Si tratta di Alberto Savi, il più giovane dei tre fratelli Savi, anche lui ex poliziotto condannato all’ergastolo per gli omicidi della Uno Bianca.

Savi, 52 anni, è detenuto nel carcere di Padova. Ha già beneficiato del permesso: dodici ore di libertà, dalle 8 alle 20, ore durante le quali è stato ospitato in una comunità protetta.

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Contro il permesso premio si era schierata la Procura della Repubblica, presentando un ricorso al via libera dato a dicembre dal giudice di sorveglianza.

Per ottenere le dodici ore di libertà, il più giovane dei fratelli Savi aveva presentato una serie di relazioni degli operatori del carcere Due Palazzi che attesterebbero un percorso di pentimento iniziato da tempo, accompagnato da un coinvolgimento lavorativo prima nel call center dell’istituto di pena per conto del Cup (Centro unico di prenotazione) dell’Azienda ospedaliera e dell’Uls 16 di Padova e successivamente in un’altra realtà.

Sull’ok potrebbe aver pesato anche la lettera inviata nel settembre scorso all’arcivescovo di Bologna, Matteo Zuppi, per chiedere perdono per quanto fatto.

I familiari delle vittime: "I nostri morti non hanno permessi premio"

"I nostri morti non hanno permessi premio: è la durissima reazione di  Rosanna Zecchi, presidente dell'associazione dei familiari delle vittime della banda della Uno bianca. "Per noi questa gente non deve più avere voce in capitolo", prosegue Zecchi.

"Mi auguro che il giudice di sorveglianza" che ha concesso il permesso "abbia figli e capisca cosa hanno fatto queste persone alle famiglie che avevano dei figli: glieli hanno tolti, il mio aveva 22 anni e mi rimane solo una tomba e non ho più lacrime da piangere". è arrabbiata e triste Anna Maria Stefanini, mamma di Otello, il carabiniere ucciso dai killer della Uno bianca insieme ai colleghi Mauro Mitilini e Andrea Moneta il 4 gennaio 1991 nella Strage del Pilastro a Bologna. "Che Paese è un Paese in cui persone che hanno ucciso 24 persone e ne hanno ferite 103 possono avere dei benefici? Devono gettare la chiave: nessun beneficio, nessun diritto. Non voglio vendetta, voglio giustizia".

Il legale: "Percorso di revisione lungo"

L'avvocato difensore di Alberto Savi,  Annamaria Marin, spiega conversando con l'Ansa che la decisione dei giudici, il magistrato di Sorveglianza di Padova prima e poi il tribunale di Venezia dopo il reclamo della Procura, "ha tenuto conto di un percorso di revisione critica fatto nel carcere di Padova da 17 anni". In questo percorso di  Savi ci sono "la sua condotta, il riconoscimento delle proprie responsabilità e il rispetto per le vittime: è stata fatta una valutazione di lunghissimo periodo, considerando che gli operatori lo hanno avuto sotto gli occhi per 17 anni". Hanno avuto rilevanza anche "contatti con alcuni religiosi che lo hanno seguito e sostenuto il suo percorso" dove la lettera all'arcivescovo Zuppi è "un piccolo pezzo di un mosaico". I tempi sarebbero maturi anche per chiedere di accedere ad ulteriori benefici, come il lavoro esterno oppure la semilibertà, ma ciò che emerge dai provvedimenti sembra indicare che si debba procedere a piccoli passi, cioè con altri permessi specifici.

Durante il permesso premio, Savi è stato in una struttura protetta, accompagnato solo dai volontari e non ha potuto incontrare i propri familiari. "Un particolare tipo di permesso - ha detto l'avvocato Marin - voluto nel rispetto comprensibile del dolore, evitando qualsiasi clamore e visibilità".

I tre fratelli Savi sono in prigione, il quarto della banda è in semilibertà

Anche Fabio Savi ha avanzato richieste di permessi premio, ma finora sono state rigettate. Fabio, 56 anni, è all'ergastolo come i due fratelli ex poliziotti, Roberto, che con lui era il capo del gruppo criminale, e Alberto, il minore.  Fabio Savi è detenuto nel carcere di Uta a Cagliari e proprio davanti ai giudici di Sorveglianza del capoluogo sardo pende un suo reclamo contro un primo no ad una richiesta di permesso.  Il quarto ergastolano della banda è Marino Occhipinti, anche lui a Padova: è in semilibertà dal 2012. 

 

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