Uno Bianca, 'no' dei parenti delle vittime allo sconto di pena

L’ira dei familiari dopo i ricorsi in Cassazione per Savi e Occhipinti FOTO La strage del Pilastro 25 anni dopo

Fabio Savi, uno dei capi della banda della Uno Bianca

Fabio Savi, uno dei capi della banda della Uno Bianca

Bologna, 6 gennaio 2015 - «E’ inutile che insistono. Devono piantarla di fare ricorsi, mettersi il cuore in pace e restare in carcere. Quello è il loro posto. E’ giusto che rimangano lì, senza sconti di pena o permessi. Non sono cambiati in tutti questi anni, se uscissero potrebbero fare di nuovo del male a qualcuno».

I familiari delle vittime della Uno Bianca non hanno dubbi: Fabio Savi, detto ‘il lungo’, uno dei capi della banda che fra l’87 e il ’94 uccise 24 persone e ne ferì oltre 100, e l’ex poliziotto Marino Occhipinti, entrambi condannati all’ergastolo, non devono assolutamente ottenere la libertà.

L’ultima notizia è che i due hanno presentato ricorso addirittura in Cassazione (dopo il no dei giudici bolognesi in prima istanza) per usufruire del rito abbreviato ‘a posteriori’, tramutando così il carcere a vita in una pena più blanda, trent’anni. In caso di accoglimento della domanda, uscirebbero definitivamente avendo espiato la pena per intero, grazie agli sconti per buona condotta previsti dalla legge. Savi è detenuto a Cagliari, Occhipinti a Padova, in regime di semilibertà (esce di giorno per lavorare e rientra di sera). L’altro capo della banda, Roberto Savi, detto ‘il corto’, ex poliziotto in servizio alla Questura di Bologna ora detenuto a Milano, aspetta di vedere cosa decideranno i giudici sul fratello per proporre, eventualmente, la stessa istanza.

Nuovo sale sulle ferite dei parenti delle vittime, che proprio l’altro giorno hanno pianto al venticinquesimo anniversario dell’eccidio del Pilastro, in cui furono uccisi tre giovani carabinieri. «Non mollano, vogliono uscire a tutti i costi – attacca Rosanna Zecchi, presidente dell’Associazione dei parenti delle vittime della Uno Bianca nonché vedova di Primo Zecchi, ucciso dalla banda –. Speriamo che anche la Cassazione respinga la domanda. Hanno fatto troppo male a tanta gente. Il tempo è passato, ma per noi nulla è cambiato, siamo sempre a quei giorni là».

La madre di Occhipinti, Graziella Bardi, ha spiegato al Carlino che il figlio «è cambiato, si è pentito e la speranza è che esca presto». «Mi dispiace per lei – continua Rosanna Zecchi –, ma se ha un figlio criminale non è colpa di nessuno. Non so se è cambiato, ho molti dubbi. Occhipinti è stato zitto per sette anni, se avesse parlato avrebbe evitato molti morti. Dunque è colpevole quanto i Savi. Peraltro lui è da anni in semilibertà e gode di permessi. Tutti questi sconti di pena e benefici a simili assassini non mi paiono giustificati. Non si sono mai pentiti, non hanno avuto pietà per nessuno. La gente è terrorizzata dalla possibilità che escano. Sono pienamente convinta che, se uscissero, tornerebbero a fare ciò che facevano allora. Tutti mi dicono che quando usciranno me la faranno pagare. A me non interessa, la mia vita l’ho vissuta, mio marito è morto 25 anni fa. Però il problema resta».

Anche Luigi Beccari, il papà di Carlo, la guardia giurata uccisa durante una rapina (il solo delitto per cui è stato condannato Occhipinti), è netto: «Deve restare dentro. Il 19 febbraio sarà il ventottesimo anniversario della morte di mio figlio. Il dolore non cessa mai. Non è cambiato, se esce non si sa cosa può combinare».

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