Uno Bianca, un esposto sulla Falange Armata

Una delle ipotesi che emergerebbe dall’atto di alcuni familiari, pronto a essere depositato. Versione che arriva anche nel libro dell’ex pm Spinosa

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di Nicola Bianchi

"La vicenda onnicomprensiva e tragicamente assurda della Uno Bianca inquadrata come ’ditta criminal-familiare’ dei fratelli Savi, nel ’ramo d’azienda’ dove la giustizia italiana ha deciso di incasellare anche la Banda delle Coop, è una delle più grandi mistificazioni della storia contemporanea". Perché la Uno Bianca va legata alla "strategia stragista di fine anni ’80-inizio anni ’90" che vide in azione la Falange Armata, la mafia e i servizi. Una "strategia unica" con dietro un gruppo di potere che, per una certa fase storica, si sarebbe servito dei Savi. Si intitola Falange Armata. Storia del golpe sconosciuto che ha ridisegnato l’Italia (Piemme), il nuovo libro di Giovanni Spinosa, pm che condusse le prime indagini sulla Uno Bianca, e del giornalista e scrittore Michele Mengoli. Un viaggio a ritroso, tra il 1987 e il 1994 tra Emilia-Romagna e Marche, quando la banda dei Savi lasciò sull’asfalto 24 croci e oltre 100 feriti. Teleguidati, secondo gli autori, dalla Falange Armata che "ha rivendicato i delitti della fase terroristica della Uno Bianca".

Esposto. Ipotesi ritenuta plausibile, "ma non l’unica", anche da Ludovico Mitilini, fratello di uno dei carabinieri uccisi al Pilastro, pronto con altri familiari delle vittime a depositare un esposto per chiedere di fare luce sui tanti perché senza risposta (resta aperta un’inchiesta contro ignoti e senza ipotesi di reato, ndr). "Spinosa – spiega – seguì i casi Macauda, Castelmaggiore, che forse non ricevette la dovuta attenzione investigativa, Coop e Pilastro; mi fa piacere che si sia ravveduto e ne dia una versione diversa da allora, quando si parlò solo di criminalità organizzata. Penso ci posso essere un collegamento con la Falange Armata. Il problema resta il movente delle azioni dei Savi, spesso concentrate contro i carabinieri. Chi doveva fare ’solo’ soldi, di fronte ai carabinieri sarebbe fuggito...".

Versioni. Savi, così il libro, sempre pronti a negare e a "raccontare due versioni". La prima: avrebbero agito "sempre da soli per lucro". La seconda: dopo gli assalti alle Coop, "sarebbe intervenuta un’agenzia investigativa che faceva rapine simulate per ragioni inconfessabili". E’ il 29 novembre 1994 quando Fabio Savi, a proposito della Falange Armata, racconta di "averne sentito parlare" e che "dietro ci siano i carabinieri". Parole poi smentite. Mentre Roberto: "Circa le rivendicazioni della FA anche in relazione a crimini da noi compiuti, nulla posso dire". Invece Alberto, il più piccolo dei fratelli, "per la prima volta", ribalterà il rapporto Falange-esecutori dei delitti, con "questi che chiederanno l’intervento della comunicazione falangista".

"Incidente" Pilastro. Sono proprio rivendicazioni e comunicazioni i punti cardine dell’organizzazione terroristica. Come quelle legate all’eccidio del Pilastro del 4 gennaio 1991. Una strage – dei carabinieri Andrea Moneta, Mauro Mitilini, Otello Stefanini – considerata dalla FA "una sorta di incidente di percorso e non un obiettivo politico". Un’operazione, "avvenuta per casualità".

Quarto uomo. Frecciate sono rivolte ad alcune vecchie sentenze, soprattutto all’Assise nel passaggio legato al presunto quarto uomo che avrebbe caricato i Savi a San Lazzaro dopo il Pilastro e incendiato la Uno. "Se vi fu un quarto uomo – scrissero i giudici –, fu chiamato in emergenza da un qualunque telefono pubblico dopo il conflitto...". Gli autori: "Non c’è bisogno di una cabina e di un improvvisato pusher di taniche di cherosene per spiegare l’arrivo dell’Alfa". Un’Alfa 33 "dietro l’auto degli assassini", con "scanner", "cherosene" e "Falange Armata".

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