Nell’ottobre di vent’anni fa ci lasciava Renzo Renzi, un intellettuale esemplare per coerenza di scelta etica e di impegno civile, che fece di Bologna il proprio ’luogo dell’anima’, da cui osservare il mondo e a cui dedicare un continuo e appassionato tributo di conoscenza della sua storia, della sua cultura, delle sue attitudini, delle sua stessa fisionomia urbanistica. Centrale, certo, fu il suo amore, maturato già adolescente dalle aule del Liceo Galvani negli anni Trenta, per l’arte cinematografica quale nuova prospettiva di comprensione della realtà, divenendo subito organizzatore dei primi circoli di cinefili cittadini e in seguito critico prolifico dalle significative esperienze divulgative nei giornali e nell’editoria, in fecondo rapporto con la migliore cinematografia dell’epoca, al punto da essere il primo a individuare le straordinarie doti di Fellini come regista, col quale rimase legato da partecipe amicizia.
Non è eccessivo ritenere la sua presenza culturale all’origine del perdurante legame dei bolognesi con il cinema, tanto più che Renzi fu tra i fondatori nel 1967 della Cineteca cittadina (che a lui ha intitolato la Biblioteca). Mentre, per altro, tentò pure in prima persona l’avventura della pratica filmica, fondando una casa di produzione nell’ipotesi di fare della sua Bologna un centro dell’industria cinematografica e per questo girò egli stesso alcuni documentari.
Nel 1953 Renzi divenne, suo malgrado, protagonista della cronaca nazionale, in quanto fu arrestato e detenuto per alcune settimane nel carcere militare di Peschiera, con l’accusa di ’vilipendio delle forze armate’, a seguito di un soggetto (L’armata s’agapò) da lui scritto per un film ipotizzato e dedicato al comportamento dei soldati italiani durante l’occupazione in Grecia. Fu uno scandalo di vasta risonanza a causa dell’intervento di un Tribunale militare a condannare un civile reo di aver esercitato il libero diritto di critica. Tutta Bologna insorse, esprimendo attraverso i propri giornali indignazione e ferma solidarietà al concittadino incarcerato. Il critico cinematografico del Giornale dell’Emilia, Dario Zanelli, ad esempio, il 12 settembre (poche settimane dopo la testata sarebbe tornata a quella storica di Il Resto del Carlino) stigmatizzava, tra l’altro, "i pericolosi furori di chi pensa di sostituire tribunali e galere all’opera della critica cinematografica e letteraria".
Al suo legame con Bologna si deve l’intensa e lunga attività di coordinamento editoriale delle pubblicazioni istituzionali della Provincia e soprattutto una copiosa produzione di saggi e volumi dedicati ai temi più svariati, sempre alla ricerca dei caratteri della città, spaziando dall’arte all’economia, dal costume alla storia. Cimentandosi anche su argomenti di qualche leggerezza, come quello gastronomico, cui dedica un documentato capitolo nell’ampio e riccamente illustrato Bologna una città del 1960, dove collega le festività ai menù della tradizione, che vede, ad esempio, la tavola di Natale ricca, oltre che degli "inevitabili" tortellini, del fritto misto (crema, verdura e cervello), di arrosti di cappone e faraona, della zuppa inglese o del certosino, con "supplementi" di formaggio, frutta e caffè. A Pasqua, invece, passatelli e agnello, lasagne verdi per carnevale e così via.
Alla stessa materia culinaria fa riferimento un inedito documento d’archivio che, databile in avvio della sua attività documentaristica d’inizio anni Cinquanta, espone un’ipotesi di soggetto (poi non portata a buon fine) scritto in collaborazione con Enzo Biagi, dal curioso ed evocativo titolo di I Mangioni. Motto iniziale doveva essere: "La mia morosa la mi ha detto: gnocco, ma io ci ho detto: brutta crescentona". Seguiva la descrizione dell’ipotetico protagonista: "Il mangione ha i suoi usi e i suoi costumi; egli è una specie di obelisco e sulla sua pancia larga si disegnano certe tradizioni e certi caratteri della sua terra emiliana egli ha una cura enorme dello stomaco e del corpo; ama le buone abitudini, e per non prendere la pioggia, per non patire il sole, inventa i portici". Anche in tal modo risulta ben evidente la compiutezza della personalità culturale di Renzo Renzi, in grado di porsi quale raffinato interprete delle tendenze artistiche del suo tempo ma, ad un tempo, di immergersi con un complice sorriso, nei riti gastronomici dei suoi concittadini.