di Rosalba Carbutti
Enrico Letta apre le porte del congresso e in Emilia-Romagna c’è già chi si scalda. Stefano Bonaccini è sempre più in campo, ma tutto dipenderà da quali saranno i contendenti (ieri si è fatto avanti il sindaco di Pesaro, Matteo Ricci). Il presidente della Regione, del resto, se correrà, lo farà per vincere (non per partecipare). Ieri il governatore è tornato sul tema congresso, precisando, però, che "non è ora il momento di una discussione che parta dai nomi e dai cognomi anziché dai contenuti, ma deve essere un’occasione per discutere, anche prima delle alleanze, di quale identità e quale profilo si vuole dare il Pd". Il senso, insomma, è che "il congresso dem dev’essere una grande occasione di rigenerazione per noi, sia sui contenuti, sia nella classe dirigente".
Dribbla ipotesi di duello con Elly Schlein, frontwoman dem in campagna elettorale ("l’ho chiamata io a fare la vicepresidente della Regione il fatto che la stimi mi pare che non sia neanche da commentare"), ma il nome della neodeputata continua a circolare come nome ’spinto’ dalla sinistra del partito, ala Provenzano (l’area del sindaco Lepore e della segretaria provinciale dem Federica Mazzoni).
In attesa di capire gli sviluppi, sebbene molti dem considerino l’ipotesi Bonaccini contro Schlein "vicina alla fantascienza", il governatore emiliano-romagnolo qualche punto fermo lo mette. No a un partito che oscilla tra il 18 e il 20%, sì a un centrosinistra largo (modello Bonaccini, appunto) e nessuna preclusione ad allearsi con M5s e Terzo polo. Sulla stessa linea Luigi Tosiani, segretario regionale Pd, che ieri ha dato un assist al governatore: è il Pd dell’Emilia-Romagna (nonostante i 6 collegi uninominali vinti e i 10 persi), che può vantare il primato di primo partito e una pattuglia di una quindicina di parlamentari.
Ergo, come dice il leader regionale Pd, è pronto "a pesare" sul partito nazionale (che conterà su un centinaio di deputati e senatori): "Si deve ripartire da qui, ma per fare il Pd", senza andare oltre. In sintesi: "Non va premuto il pulsante dell’autodistruzione. Siamo il primo partito in regione, 5 anni fa (epoca Renzi, ndr) non lo eravamo", conclude Tosiani. Forte dei risultati in città c’è anche la segretaria Mazzoni. Che, a fronte di un Pd nazionale sotto la soglia psicologica del 20 per cento, a Bologna si consola con un partito che supera il 33 per cento alla Camera e il 30 per cento al Senato. Una roccaforte ’rossa’ dentro le mura della città che, permette, sebbene con qualche patema verso ’Carpi’ (poi vinto da Andrea De Maria), di conquistare tutti i collegi uninominali. Ma nonostante qui i dem ’tengano’, Mazzoni ammette che ora "è necessario che il partito attraversi il deserto, perché così sapremo davvero che cosa vogliamo essere e dobbiamo fare".
Non manca un po’ di autocritica, ma nessuno mette in mezzo Enrico Letta perché non serve a niente cercare "capri espiatori, ma va fondata una nuova sinistra", le parole della segretaria dem. Una nuova sinistra in cui si riconoscerebbe anche la sardina Mattia Santori che, ieri, aveva chiesto una riflessione: "Se in Emilia-Romagna viene eletto Casini e non Soumahoro (sconfitto all’uninominale, ma è poi passato al proporzionale, ndr) c’è qualcosa che è sfuggito nell’analisi di Letta e del partito".
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