
Il questore Antonio Sbordone
Questore Antonio Sbordone, ha deciso di annullare la marcia neofascista di Rivoluzione nazionale del 15 febbraio. Perché?
"La premessa: come previsto dalla Costituzione, tutti hanno il diritto di manifestare. Ma ci sono limiti dettati dalla legge. E con queste modalità, questi presupposti e queste finalità, quella manifestazione non era possibile. Per prima cosa, non era stata preavvisata, l’abbiamo saputo dai canali social. E poi, per come era pubblicizzata, si configurava non come una libera manifestazione del pensiero attraverso la riunione, ma come una sorta di presidio itinerante del territorio per controllarlo. Siccome questo è appannaggio dello Stato, non si poteva fare. È vero che sono state previste forme di sicurezza sussidiaria basate su rapporti con associazioni private, ma che comunque devono agire in una cornice gestita dallo Stato".
Com’è strutturato il movimento di Rivoluzione Nazionale?
"Non è particolarmente attivo a Bologna, ma è presente in Emilia-Romagna. Conta qualche decina di iscritti, tutti molto giovani. Quando abbiamo notificato loro il divieto, abbiamo spiegato che possono organizzarsi in futuro, ma nei limiti di legge".
Ci sono altre iniziative all’orizzonte che destano preoccupazione?
"I motivi di tensione non mancano. I più importanti scaturiscono da questioni nazionali e internazionali. Nel primo caso, riguarda soprattutto l’approvazione del decreto sicurezza, entro queste mese se ne terrà una importante su Bologna su base regionale (il 22 febbraio alle 15 in piazza XX Settembre, come comunicato ieri dagli organizzatori stessi, ndr). Poi, la guerra Israele-Palestina, che continua a preoccuparci. Il primo marzo c’è l’inaugurazione dell’anno accademico. Ci sono anche temi locali, legati ad aspettative degli studenti sulla necessità di avere ulteriori spazi e servizi, come gli alloggi".
Spostando lo sguardo, si può parlare di emergenza baby gang nella nostra provincia?
"Il termine baby gang non è appropriato per spiegare il fenomeno. La ‘gang’ è una banda strutturata con capi e vertici, articolazioni ed esecutori per commettere dei reati. Fenomeni presenti in altri Paesi, ma non qui. A Bologna non esistono baby gang, ma fenomeni diffusi e preoccupanti di disagio che investe giovani e giovanissimi, i quali si riuniscono, partecipano alle serate, vanno ai centri commerciali con un atteggiamento sempre aggressivo, stanno insieme in una sorta di moto difensivo che esterna una fortissima rabbia, che poi viene incanalata in reati e atti di violenza, atti che sono però estemporanei e non frutto di premeditazione. Spesso vi partecipano extracomunitari di seconda generazione, anche di origini diverse (albanesi con magrebini con centrafricani). Esprimono una difficoltà di integrazione. Fanno gruppo contro ’l’esterno’ che non li accetta. Qui non esistono ricette. Ma bisognerebbe fare di più, tutti dobbiamo esserne consapevoli, perché c’è un’intera generazione che intraprende strade deviate. Questo non esclude ragazzi italiani. Mi sembra che bisogna dimostrare di essere in gamba, sempre sul pezzo, mostrando i muscoli".
Si può parlare allora di emergenza disagio giovanile?
"Sì. Servirebbe recuperare il ruolo dell’autorità, che vive una crisi in tutti gli ambiti. In quello di polizia, con agenti che vengono aggrediti, della scuola, contro gli insegnanti, e dell’ospedale, contro i medici".
La situazione di piazza XX Settembre migliora?
"Sono un fautore del recupero del territorio con iniziative concrete, ludiche, sportive, culturali (è stato da poco lanciato il progetto di Comune e Ascom, ndr). Bisogna sottrarre gli spazi al degrado. Quello che è importante ora è non mollare, dopo i primi momenti di entusiasmo".
E la Bolognina?
"È uno dei nervi scoperti della città. È un quartiere grande, ci vivono decine di migliaia di persone. La stragrande maggioranza sono persone per bene, costrette a stare a stretto contatto con gli sbandati. Ruota tutto attorno alla questione droga. Ho voluto fortemente con il prefetto l’uso di pattuglie appiedate, mattina e pomeriggio, stanno dando buoni riscontri. Una sorta di poliziotto di quartiere di una volta o ’polizia di prossimità’. La comunità, infatti, soffre molto per la presenza di spacciatori e clochard".
Il problema più grande di Bologna oggi?
"La droga. E bisognerebbe concentrarsi molto di più sugli acquirenti".