Bologna, molestò avvocatessa in tribunale. Condannato il cancelliere

Pena di 28 mesi e 7mila euro di risarcimento. La vittima: "Denunciate anche se vi screditeranno"

Il 43enne è stato condannato per violenza sessuale aggravata dal ruolo di pubblico ufficiale

Il 43enne è stato condannato per violenza sessuale aggravata dal ruolo di pubblico ufficiale

Bologna, 21 giugno 2018 – Violenza sessuale aggravata dal ruolo di pubblico ufficiale. Un cancelliere del tribunale, Mauro Chaim Pace, 43 anni, è stato condannato ieri a 2 anni e 4 mesi per aver palpeggiato una giovane avvocatessa mentre i due si trovavano, soli, nella cancelleria del gip del Palazzo di Giustizia. I fatti risalgono a maggio 2017 e nel frattempo lui, dopo essere stato sottoposto a procedimenti disciplinari e spostato in un ufficio non più a contatto con il pubblico, si è licenziato. Lei all’epoca era ancora praticante, ma oggi è appunto avvocatessa dopo aver superato l’esame di Stato. Il processo si è svolto con il rito abbreviato davanti al gup Domenico Truppa e i due, presenti come imputato e parte civile, si sono ritrovati per la prima volta faccia a faccia.

Il giudice ha accolto l’impostazione della Procura (il pm d’udienza Augusto Borghini aveva chiesto due anni e mezzo), condannando Pace anche all’interdizione dai pubblici uffici e a pagare alla vittima un risarcimento di 7mila euro, peraltro non richiesto dall’avvocato di parte civile, Marco Linguerri. L’imputato si è sempre dichiarato innocente e i suoi legali, Milena Micele e Nazarena Barbarossa, già annunciano appello. Quel giorno il cancelliere (secondo il racconto della praticante ritenuto credibile da pm e gup), aggredì la ragazza che si era presentata per sbrigare alcune pratiche legali. Visto che il sistema era in blocco, l’uomo si avvicinò al bancone e allungò con gesto improvviso le mani, allargando la camicetta della donna e infilandoci dentro la faccia. Alla reazione della praticante, lui la riempì di complimenti poi tornò all’attacco infilandole una mano nella camicetta e palpeggiandole il seno. A quel punto la ragazza lo allontanò a male parole e uscì sconvolta, poi, accompagnata da una collega che la trovò in lacrime, andò dalla dirigente amministrativa.

«Ho fatto questa battaglia, che è stata molto faticosa – dice l’avvocatessa, contattata dal Carlino –, anche per lanciare un messaggio. In primis nei confronti di quelle persone che fanno il mio stesso lavoro che inizialmente mi hanno detto che ero pazza ad andare a riferire l’accaduto alla dirigente. Mi dicevano che tanto non avrei risolto niente e che avrei ottenuto solo pregiudizi in ambito lavorativo venendo additata come quella che aveva frainteso la situazione. Alcune mie colleghe mi hanno detto che loro avrebbero fatto finta di niente per quieto vivere. Una cosa per me inaccettabile. Io infatti ho trovato normale agire subito, anzi sarei andata dalla dirigente per cose anche meno gravi. Questo deve essere il messaggio, soprattutto in una società in cui le donne vanno tutelate e devono denunciare». Ma c’è anche un altro aspetto che sta a cuore alla coraggiosa avvocatessa: «Le donne devono denunciare, ma devono anche sapere che nel momento in cui denunciano diventeranno vittime di un sistema, perché la difesa di questi indagati-imputati sarà quella di attaccarle per screditarle. Quindi avranno un doppio danno, perché ci saranno persone che diranno che si sono inventate tutto. Credo che questa sia una cosa vergognosa, il tasto dolente dei processi per violenza sessuale, dove la persona offesa diventa vittima due volte. È aberrante. Io non ho avuto dubbi, sono andata subito dalla dirigente, dopo aver fortunatamente trovato una mia collega che mi ha trovato in lacrime nei corridoi del tribunale».

Non è finita: «Perché non ho tirato uno schiaffo a quell’uomo o non ho urlato? Sono la prima a chiedermelo – aggiunge l’avvocatessa –, ma in quel momento ero impietrita, non riuscivo a muovermi. Però deve passare il messaggio che poi bisogna reagire e raccontare tutto, come ho fatto io. Anche se sarà appunto doloroso perché la gente metterà in dubbio la tua credibilità, non la sua. Una cosa che mi ha fatto molto male – conclude – è stata vedere, nelle investigazioni difensive, le dichiarazioni di avvocatesse e cancelliere in cui si diceva che lui era un uomo fantastico e che ciò che avevo detto io era inverosimile e assurdo. Dichiarazioni che mi hanno ferita, soprattutto perché vengono da donne, a riprova del fatto che la solidarietà femminile non esiste e che in queste tematiche le donne si rivelano sempre le peggiori nemiche di se stesse».

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