Volontario bolognese nei guai in Serbia

Parenti lavora nel Paese balcanico per una ong. "Incendiata la tenda con la mia collega dentro"

Adalberto Parenti, 37 anni, di Castel San Pietro

Adalberto Parenti, 37 anni, di Castel San Pietro

Bologna, 5 febbraio 2020 - «Ci hanno sottoposto a un processo farsa e condannato senza permetterci di fornire la nostra versione dei fatti. Non avevamo neppure un avvocato". Adalberto Parenti, 37 anni, di Castel San Pietro, è in Serbia da ottobre come volontario della ong No Name Kitchen, che opera nella zona di Šid, al confine nord-occidentale con la Croazia. La scorsa settimana, aggredito da un gruppo di operai incaricati dal municipio di ‘bonificare’ l’area della fabbrica dismessa di Grafosrem, dove i profughi - la maggior parte afgani - trovano rifugio in tende e ripari di fortuna, è stato trattenuto negli uffici della polizia locale per un’intera giornata e, al termine di un veloce processo, rilasciato con un foglio di via obbligatorio e un’ammenda di 20000 dinari serbi, circa 200 euro.

"Stamattina (ieri, ndr ) sono stato in ambasciata, per capire come muovermi – spiega –. Abbiamo nominato un avvocato del Belgrad Centre for Human Rights, per appellare la sentenza, ma intanto dovremmo lasciare il paese". La vicenda è iniziata il 25 gennaio, quando gli operai che avrebbero dovuto soltanto tagliare i cespugli intorno all’area occupata dai migranti, "hanno bruciato le tende, con i pochi averi di queste persone e rubato quello che hanno ritenuto di valore, danneggiando anche il nostro furgone", spiega Parenti, che è attivo nel volontariato da oltre 15 anni. "Sapendo che gli operai sarebbero tornati anche il sabato successivo, la mattina presto, assieme a due colleghe, sono andato alla fabbrica, per aiutare i migranti a raccattare le loro cose e lasciare lo spazio prima dell’arrivo degli operai", continua. Malgrado i tre volontari fossero arrivati alle 7,30, non sono stati abbastanza veloci: quando gli operai sono arrivati alle 9 del mattino, c’era ancora una tenda tra i cespugli.

«Uno di questi uomini ha appeso la bandiera Chetnik (dell’ultradestra serba) sul tetto dell’edificio. Marina (la collega tedesca di Parenti, ndr ) era dentro la tenda, io fuori e stavo impacchettando un telo di plastica. Uno degli operai si è avvicinato e ha iniziato a mettere la benzina sul telo e sulla tenda quando c’era ancora Marina all’interno. Anche lei era in parte coperta di benzina. L’operaio ha quindi dato fuoco al telo, mentre Marina era ancora impegnata a imballarlo: è stata solo fortuna se anche la tenda non ha preso fuoco". Quando l’altra volontaria, Leonie, ha cercato di documentare la scena con il suo telefono, un secondo operaio le ha lanciato addosso un petardo. "Un altro operaio ha distrutto con un bastone il cellulare di Marina. Volevamo andarcene, abbiamo chiamato i nostri colleghi: è arrivata la polizia e pure il vice sindaco di Šid, Zoran Semenovic, ma la situazione non è migliorata, anzi". All’arrivo della polizia, i tre sono stati portati via. "Ci hanno trattenuto per ore, poi hanno organizzato questo ‘confronto’ con gli operai. Loro sono stati ascoltati, noi non abbiamo potuto replicare nulla. Alla fine io e Leonie siamo stati condannati, l’altra collega assolta: eppure, hanno espulso anche lei e questo ci fa sospettare che questo sia stato solo un modo per liberarsi di noi", conclude.

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