Bologna, 22 aprile 2025 – Fino alla fine. “Perinde ac cadaver”, come è nella spiritualità della Compagnia di Gesù. Il cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Comunità episcopale italiana, ieri ha usato questa locuzione latina, per raccontare chi è stato papa Bergoglio, anche lui gesuita. La cui morte, avvenuta alle 7,36 del giorno in cui la Chiesa celebra il Lunedì dell’Angelo, nel segno della resurrezione di Cristo, “è un segno della Provvidenza. Perché questo giorno non vede mai tramonto, mai il buio”, ha detto Zuppi.

Quella di ieri per l’arcivescovo bolognese, tra i papabili per la nomina al soglio pontificio, è stata una giornata incessante, scandita dal ricordo del Santo Padre. Prima affidato alla rete, in un messaggio come presidente Cei. E poi culminata in una messa solenne in suffragio di Francesco nella cattedrale felsinea di San Pietro (video), dove i fedeli, già mezz’ora prima dell’inizio della messa, avevano riempito ogni angolo, seduti addirittura sui gradini degli altari delle navate laterali, tra le candele votive (foto).
Una dimostrazione d’affetto, quella della comunità bolognese, che per Zuppi si nutre per una “persona cara, importante, presente. Qualcuno la cui assenza ci fa sentire tutti più soli, nell’incertezza del momento”. “Dio è un maestro di sorprese. E così neanche il suo discepolo Francesco ha fatto mancare sorprese. Non per protagonismo, ma per liberarsi dalla tentazione di conservare”, le parole del cardinale, che hanno reso quell’umanità profonda, rappresentata da Papa Francesco nei gesti quotidiani. “Francesco non ha mai nascosto la sua concreta umanità, senza nessuna esitazione, senza però nessuna ipocrisia. Si è donato sino alla fine come ha voluto, senza risparmio e calcolo, senza convenienze”.
Si è donato anche nel suo ultimo giorno, il giorno di Pasqua, con un “commovente giro in macchina per salutare e farsi salutare dalla persone. Francesco non si è mai risparmiato – ha detto ancora il cardinale –. Si è avvicinato alle persone perché voleva comunicare a tutti l’amore di Dio per l’umanità concreta, così come è, senza filtri, senza ipocrisie, coinvolgendo tutti”. Perché la Chiesa di Bergoglio era di tutti. Ma soprattutto dei poveri e degli ultimi. Dei migranti e dei peccatori. “Ci ha spinti – ha detto Zuppi – ad andare nelle periferie umane per toccare i poveri, farci toccare da loro, per ascoltare la loro voce e dargli voce, per ricordarli e salvargli fisicamente la vita da quel mare di indifferenza che la fa perdere. Per sentire lo scandalo dell’ingiustizia e non abituarsi mai”. E non è un caso, ricorda ancora l’arcivescovo bolognese, che “l’ultima visita che ha voluto compiere è stata nel carcere di Regina Coeli, mentre la prima fu a Lampedusa”.
Perché la Chiesa di Francesco, ricorda Zuppi, è una Chiesa “vicina. Quante telefonate ha fatto – ha detto ancora il cardinale –. Come quando ha chiamato quell’anziano di Porretta (un paese del Bolognese, ndr) rimasto da solo: lo ha fatto senza la paura di farlo. Non per piacere a tutti, ma per ché tutti sono suoi figli”. Un concetto riassunto nella benedizione Urbi et Orbi, ricordata anche da don Stefano Ottani, ‘Per tutti misericordia e indulgenza’, una chiave che ha accompagnato Francesco in tutti gli anni del suo ministero. E adesso questa comunità, fatta di “persone diversissime, ma legate tra loro da un legame spirituale, un appartenenza profonda a quel ’fratelli tutti’ che è stata la visione che Papa Francesco ha offerto a tutti, per abbattere tanti muri” si è fermata nella preghiera. Quella di Francesco, ha detto ancora Zuppi, è “Una Chiesa madre, lieta, umile, disinteressata, beata. Che è forte perché sa affrontare gli scandali del proprio peccato, chiamandoli col proprio nome, come gli abusi, e capendo e combattendo le cause e non solo chiarirne le conseguenze”. L’auspicio di Zuppi è una parola di speranza, nell’insegnamento di Francesco: “Continueremo a pregare per te, tu sono certo farai lo stesso per noi. E impariamo ad avere cuore e a dare cuore a questo nostro mondo, pieno di tanta sofferenza”.