Bologna, 20 febbraio 2013 - E’ possibile ibernare un uomo? Forse sì. O almeno: a Bologna è stato tentato e riuscito un esperimento che fa pensare che un giorno si possa arrivare anche a questo risultato che oggi sembra fantascienza.

Cinque fisiologi dell’Università di Bologna sono riusciti a indurre, manipolandone il cervello, uno stato di 'animazione sospesa' in un ratto, un mammifero che, come l’uomo, non è capace di ibernare spontaneamente. Sono partiti da due domande: è possibile abbassarne la temperatura corporea di 10 o 20 gradi senza che ciò danneggi irreparabilmente il cuore o il cervello? E, soprattutto, è possibile riportare alla vita attiva come se niente fosse successo?

Le risposte, positive, sono state date in un articolo scientifico pubblicato in questi giorni sul 'Journal of Neuroscience' a firma di Matteo Cerri, Giovanni Zamboni, Roberto Amici e altri cinque fisiologi dell’Ateneo di Bologna.

Ma che cosa è esattamente l’ibernazione? Durante l’inverno, quando il cibo scarseggia, alcuni mammiferi come orso e marmotta affrontano e superano la crisi energetica grazie a una particolare abilità nel ridurre i consumi: si isolano dall’ambiente ed entrano in uno stato in cui tutte le attività dell’organismo rallentano fino quasi a spegnersi. La loro attività metabolica si riduce di 10 o 20 volte rispetto al normale e le riserve di grasso accumulate vengono consumate con estrema lentezza.

Poichè è proprio grazie al calore prodotto dalla normale attività metabolica che la temperatura corporea di tutti i mammiferi si mantiene abitualmente intorno ai 37 gradi, la prima conseguenza che deriva dal fermarla è proprio il raffreddamento dell’animale: la temperatura corporea scende e si avvicina a quella dell’ambiente, proprio come quanto si spegne la stufa in una baita di alta montagna.

Negli stati di ibernazione leggera, definiti di torpore, la temperatura scende intorno ai 25 gradi, ma può raggiungere anche i due gradi nei veri ibernanti. In questo ‘stato’ anche il cervello riduce al minimo la propria attività e l’animale entra in uno stato che gli anglosassoni definiscono di “animazione sospesa”. E’ qualcosa che non ha nulla a che vedere con il sonno, una condizione particolare di attività del cervello in cui la riduzione dei consumi energetici rispetto alla veglia è però assai modesta se confrontata con quanto accade durante l’ibernazione.

La differenza tra sonno e ibernazione sta nel fatto che la prima cosa che gli ibernanti fanno non appena la loro temperatura ritorna normale è una bella dormita. Dopo ore, giorni, settimane, o mesi trascorsi in queste condizioni, gli ibernanti sono capaci di “riaccendere la stufa” e di tornare in poche ore alla loro vita normale.

I molti studiosi di questo misterioso e affascinante fenomeno biologico non conoscono i meccanismi che consentono all’ibernante di spegnere e riaccendere al bisogno la stufa metabolica, ma poterlo capire potrebbe dare importanti ricadute nella pratica medico-chirurgica, perché potrebbe consentire di scoprire il trucco con cui abbassare nell’uomo la temperatura corporea in modo sicuro e ben al di sotto di quanto sia attualmente possibile.

Questa tecnica potrebbe essere sfruttata durante complessi interventi neuro- o cardio-chirurgici o in pazienti infartuati per permettere ai diversi organi di sopravvivere in condizioni di scarsa disponibilità di ossigeno. Ebbene, annuncia l’Università di Bologna, “un passo avanti verso la comprensione dei meccanismi alla base dell’ibernazione e del potenziale trasferimento di queste conoscenze in ambito medico-chirurgico è stato fatto dai fisiologi bolognesi”. ..

I ricercatori dell’Alma mater sono riusciti a indurre uno stato di “animazione sospesa” in un ratto, un mammifero incapace di ibernare spontaneamente, portandone la temperatura corporea intorno ai 20 gradi attraverso la manipolazione chimica di una piccola regione collocata nelle zone più profonde del cervello.

Questa regione, chiamata “raphe pallidus”, è un nodo cruciale della rete nervosa con cui il cervello regola in tutti i mammiferi, ibernanti e non, l’attività metabolica degli organi fondamentali per il mantenimento della temperatura corporea (le “stufe” del nostro organismo) ed è capace di modificare secondo necessità il flusso del sangue alla cute e all’estremità degli arti. E’ grazie all’attività del “raphe pallidus” che quando si è al freddo il nostro metabolismo aumenta, per produrre più calore, e la circolazione del sangue nelle mani si riduce al minimo, per non disperdere prezioso calore nell’ambiente.

L’inibizione dell’attività delle cellule nervose del “raphe pallidus” ha spento la stufa metabolica dell’animale, favorendone il raffreddamento, mentre la sospensione del trattamento ha consentito un rapido ripristino della normale temperatura corporea e delle normali funzioni comportamentali.

Questi risultati, spiega l’Ateneo, “che da un lato fanno ipotizzare che gli ibernanti possano entrare ed uscire dall’ibernazione proprio grazie a un meccanismo controllato dal cervello, dall’altro ci mostrano che anche in un non-ibernante come il ratto (e magari, in futuro, anche nell’uomo) è possibile, attraverso un’opportuna manipolazione dell’attività cerebrale, abbassare la temperatura corporea di 10 o 20 gradi senza che questo comporti rischi mentre il processo è in atto e senza conseguenze dopo il ritorno alla normalità”.

Fonte Dire