Bologna, 4 giugno 2013 - RICOMPARE, dopo aver passato ben 174 anni sotto mentite spoglie, l’Apollo di Antonio Canova di cui si erano perse le tracce nel 1839. La statua in marmo creata dal grande scultore nel 1797, è stata riscoperta nelle Collezioni Comunali d’Arte — dove però è sempre stata — dalla storica dell’arte Antonella Mampieri.
La presenza della statua a Bologna, meglio conosciuta come Apollino, la dobbiamo principalmente allo scultore Cincinnato Baruzzi (Imola, 16 marzo 1796-Bologna, 28 gennaio 1878), allievo prediletto di Canova, a cui è stata attribuita fino ad oggi. Il bolognese continuò a collaborare con lo studio del maestro anche dopo la sua morte, insieme al fratello del grande scultore, l’abate Giovanni Battista Sartori, che gli affidò i rapporti con la committenza, l’amministrazione e le commissioni da portare a termine fino a cedergli definitivamente lo studio, con tutto quello che comprendeva, nel 1826.
QUANDO Baruzzi muore, senza figli e vedovo dell’amatissima moglie Carolina Primodì che aveva sposato nella sua casa-museo Villa Baruzziana, lascia tutto al Comune di Bologna, come già prima di lui aveva fatto l’amico Pelagio Palagi. In cambio l’amministrazione comunale si sarebbe impegnata a costituire, anche mettendo in vendita i beni stessi di Baruzzi, un premio annuale destinato a giovani artisti, scultori, pittori e musicisti. Tutta la vicenda è stata attentamente studiata da Antonella Mampieri, la quale si imbatte in una serie di documenti che, incrociati con lettere e inventari, portano alla luce la reale paternità dell’Apollino: la storica raccoglie la sintesi delle sue ricerche in un dettagliato articolo uscito il marzo scorso nella rivista Paragone fondata da Roberto Longhi.
L’APOLLINO fu scelto dal Comune, assieme ad altre opere dell’eredità Baruzzi, per ornare uffici di rappresentanza e arricchire, come scrive la Mampieri «il nucleo di un nascente museo civico che stava prendendo forma presso il palazzo dell’Archiginnasio e che verrà poi trasferito al vicino complesso di Santa Maria della Morte, dove oggi ancora si trova il Museo Civico Archeologico». La scultura era particolarmente amata anche da Antonio Canova che lo reputava «migliore degli altri Amorini», tipologia dalla quale prendeva le mosse. Mampieri segue scrupolosamente le tracce della statua, prima che questa faccia la sua comparsa nel lascito Baruzzi, e colma le lacune delle sue vissitudini: la ritrova come «replica con varianti dell’Amorino Campbell, scolpita nel 1797 per il francese Juliot, che l’acquistò per 700 zecchini», per passare poi nelle mani di Giovanni Battista Sommariva, avido collezionista di Canova, che aveva con il maestro un rapporto di amore-odio. «Non sappiamo se acquistate direttamente da Juliot», scrive Mampieri, certo è che «nel 1808 Sommariva annunciava a Canova l’acquisto», e finalmente trova sistemazione nella «…dimora più di rappresentanza tra le cinque che il ricco collezionista possedeva: il suo appartamento di Parigi, posto in rue Basse de Remparts, che finirà per divenire una sorta di succursale del museo del Louvre, stando alle descrizioni dei turisti», per poi arrivare fino a noi grazie alla generosità di Cincinnato Baruzzi.

Alessia Marchi