
La californiana Billie Eilish, 23 anni, stasera sarà a Casalecchio
Per niente facile a 23 anni – con 2 Oscar, 65 milioni di dischi venduti, e le 106 repliche di quell’Hit Me Hard and Soft: the Tour che la deposita domenica nel ventre in tumulto dell’Unipol Arena esaurite in un amen – conservare su e giù dal palco l’intimità delle quattro pareti domestiche in cui sono nate le sue canzoni. Ma Billie Eilish ci tiene a rimanere la centennial un po’ depressa di Ocean eyes o Happier than ever, l’artista da camer(ett)a per eccellenza del pop mondiale, pure ora che un album come Hit me hard and soft e in particolare la scaricatissima Birds of a feather, messa non a caso a fine spettacolo, l’hanno strappata a certe cupezze emo del passato per catapultarla nel luccicante mondo dei party in piscina.
Cambiare sound rappresenta un rischio mortale per qualsiasi artista, ma non per l’eroina californiana, riuscita al contrario nell’impresa di avere, se possibile, ancora più successo di prima. "La mia non è un’autenticità studiata a tavolino, perché quello è un tipo di gioco che non puoi gestire e il solo modo di apparire differenti è esserlo per davvero" ti risponde Billie Eilish Pirate Baird O’Connell quando le chiedi se si sente ancora la ragazzina della porta accanto. "Prima odiavo la fama, non riuscivo a gestirla. Ho iniziato, infatti, a 13 anni e mi sono imbarcata nel mio primo tour a 15, ora, a 23, non posso andarmi a comprare neppure lo spazzolino da denti, ma essere famosa mi piace".
Una vita tutta sotto i riflettori quella dell’imperatrice dei social con milioni di followers annidati negli angoli pure più remoti del pianeta, definita quando ancora diciassettenne "il futuro del rock" nientemeno che da un mammasantissima come David Grohl. "Le sta succedendo esattamente quello che successe ai Nirvana nel 1991" la toccò piano il leader dei Foo Fighters. "La gente si chiede: il rock è morto? Quando vedo personaggi come Billie Eilish, capisco che il rock non è ancora morto". Roba da far tremare i polsi, arrivata ad impattare sulla carriera della tristanzuola icona della Generazione Z come un meteorite.
Ma l’alchimia familiare creata fin dal primo vagito autorale assieme al fratello Finneas, oggi ventisettenne, rimane inattaccabile. "Mio fratello è anche il mio migliore amico e la cosa rende tutto più semplice perché fra noi c’è una sincerità totale" assicura. "Ci conosciamo alla perfezione e creare arte in queste condizioni diventa facile". Pure coi concerti dice di avere una relazione particolare. "Come nessun posto è uguale a un altro, nessun pubblico è uguale agli altri" ammette. "Non contano numero o dimensioni. Quello di sette anni fa al Dude di Milano, davanti a poco più di duecento persone, è stato forse il più bello della mia vita. Qui in Europa mi diverto moltissimo, però casa è casa e lì gli spettacoli hanno sempre un sapore speciale". La parola shit le sfugge solo parlando di quei talent show frequentati da bambina. E non tanto perché oggi sono zeppi di sue replicanti, ma perché ti marchiano e, nella maggior parte dei casi, si rivelano fonte di frustrazione. "Ci sono autori andrebbero sbattuti in galera" butta là senza tanto parafrasare. "Sono convinta che una come me in un talent non l’avrebbero mai presa. Mi hanno chiesto un sacco di volte di andare a fare il giudice, ma ho risposto di no. Diversi miei amici lo fanno, ma non capisco quando si accaniscono contro certi concorrenti, perché così gli rovini la vita".