BEPPE BONI
Cultura e spettacoli

Bologna prima della Liberazione: caos, borsa nera, uomini e animali

Da monti e campagne, la gente in fuga dal fronte si riversò in città portando con sé mucche, cavalli e pecore. La popolazione raggiunse il mezzo milione, cantine e portici divennero bivacchi e stalle di fortuna

La devastazione dei bombardamenti in centro a Bologna gli Alleati entrati in città la mattina di sabato 21 aprile 1945

La devastazione dei bombardamenti in centro a Bologna gli Alleati entrati in città la mattina di sabato 21 aprile 1945

Fine inverno - primavera 1945. Il fronte della Quinta armata americana si era ormai spostato dall’Appennino fin giù sulle colline di Monterenzio. Poco alla volta, Bologna, già sfigurata dai bombardamenti, aveva cambiato volto. L’Ottava armata intanto premeva dalla Romagna. I bolognesi cercavano per quanto possibile di respirare aria di normalità andando allo stadio o al cinema, eppure la fisionomia della città fu stravolta da un controesodo con tutte le conseguenze umane e logistiche.

Nell’autunno precedente, chi poteva fuggiva da Bologna sotto il tiro dei bombardamenti. Migliaia di persone sfollarono in campagna. Gran parte delle 50 ondate di bombe che causarono 2141 morti, centinaia di dispersi, 38mila edifici distrutti, 80mila danneggiati, arrivò prima dell’inverno ‘44-’45.

Ma man mano che il fronte si avvicinava alla città, con i combattimenti sulla Linea Gotica e sulla linea del fiume Senio, verso la Romagna, successe il contrario: decine di migliaia di sfollati si rifugiarono dentro le mura di Bologna presidiate dalle Brigate nere. Lo storico Luca Alessandrini, già direttore dell’Istituto Parri e dell’Istituto storico della Resistenza, ricorda lo scenario di allora. "Bologna negli ultimi cinque-sei mesi di guerra, con gli Alleati che stavano stringendo la morsa, era arrivata a 500mila abitanti, circa 200mila in più rispetto alla normalità. Le difficoltà di approvvigionamento del cibo erano enormi, non c’era legna per scaldarsi tanto che anche tutti gli alberi dei viali furono tagliati e bruciati. Diverse famiglie si sono rovinate per acquistare legna e alimenti alla Borsa nera".

Bologna era una città da Day After, dove ogni fazzoletto di terra era stato trasformato in orto, compresa una parte dei Giardini Margherita. Obiettivo, sopravvivere. "Moltissimi contadini si erano trasferiti in città per fuggire dal fronte portando con sé tutto ciò che possedevano", spiega ancora Alessandrini. "A Bologna si contavano 14 mila animali tra mucche, cavalli, asini, pecore trasferiti dalle campagne. I portici dell’Archiginnasio e molti altri erano stati trasformati in stalli di animali con fieno, carri, masserizie. Ma fungevano anche da abitazioni di fortuna".

Anche lo scrittore Lamberto Bertozzi su Reno News tempo fa ne fece un ritratto apocalittico. "Una città in trincea, super affollata, con problemi di cibo, acqua, gas, energia elettrica. C’era tanta promisquità e le medicine erano introvabili. Mucchi di letame, belati, muggiti, grugniti che salivano dalle cantine e anche dai primi piani dei palazzi dell’antica nobiltà bolognese. Gli stipendi bastavano a malapena per sopravvivere: dalle 2mila alle 3 mila lire mensili, con l’olio che costava alla borsa nera 800-1.000 lire il litro e la carne 250/300 lire il chilogrammo".

Bologna era quasi al collasso. C’era gente che aveva ricavato un alloggio di fortuna perfino nei palchi rimasti indenni del Teatro del Corso di via Santo Stefano, semidistrutto dalle bombe (e mai più ricostruito). Gli uomini che non lavoravano erano terrorizzati per il timore di essere arrestati o spediti al lavoro in Germania. La Curia retta dal cardinale Giovanni Battista Nasalli Rocca rimaneva un riferimento spirituale per i credenti, ma chi si diede da fare concretamente per limitare i danni di quel periodo furono i frati domenicani. "Cercavano di essere un ponte tra la Curia, società civile, i tedeschi e il podestà di Bologna Mario Agnoli per mitigare le difficoltà di vita della gente. E in molti casi ci riuscirono - spiega Alessandrini - insieme ad altre realtà del mondo cattolico. E sul podestà Agnoli va spesa una riflessione. Certo, era un fascista della prima ora, aderì alla Rsi con convinzione ma ebbe un forte senso di protezione verso la città. Fece tutto il possibile per evitare ulteriori disastri e rappresaglie, tentò di far dichiarare Bologna città aperta ma non ci riuscì. Eppure bisogna dare atto degli sforzi fatti e della mediazione verso il comando tedesco".

La Resistenza fu fatta anche da singoli uomini che si batterono senza il fucile rischiando la pelle. Come nel caso dell’operazione Radium. Al momento di smobilitare i tedeschi costrinsero il rettore dell’ateneo a consegnare loro il Radium, una sostanza preziosa per le cure antitumorali utilizzata al policlinico Sant’Orsola. Lo volevano gli scienziati del Terzo Reich. Il professor Giovanni Palmieri con la complicità di altri medici riuscì a nasconderne circa mezzo chilo che consegnò ai partigiani del Cln. Trasportato a bordo di una bicicletta venne girato al dottor Filippo D’Ajutolo, il quale lo nascose nella cantina della sua abitazione in via San Vitale. Il suo attivismo però insospettì i tedeschi e D’Ajutolo fuggì a Firenze già liberata. Salvo lui e salvo il Radium che tornò al Sant’Orsola a guerra finita.

Nella notte tra il 20 e il 21 aprile i tedeschi, nonostante l’ordine di resistere ad ogni costo, con una lunga colonna di mezzi imboccarono viali di circonvallazione seguiti dai militi della Rsi. La mattina successiva i reparti alleati entrarono a Bologna. I carri armati Sherman americani arrivarono occuparono Piazza Maggiore. Era un sabato, Bologna usciva dall’incubo.