La congiura di San Domenico, il giallo ambientato nella Bologna del '500

Il thriller storico di Patrizia Debicke van der Noot

I domenicani al centro  del giallo  di Patrizia Debicke van der Noot  (sotto)

I domenicani al centro del giallo di Patrizia Debicke van der Noot (sotto)

Bologna, 22 agosto 2016 - Ma  che cosa sta succedendo nel severo, irreprensibile convento di San Domenico? Che cos’è quel cadavere del vice inquisitore, fra’ Consalvo, rinvenuto dal padre guardiano all’alba gelida del 26 ottobre 1506, sui gradini dell’arca del santo? E che ci sta a fare, accanto alla testa del frate pugnalato alla schiena con un crocifisso d’argento dorato, un gatto nero strangolato con lo stesso cordone della vittima? L’inquisitore fra’ Gaudioso de’ Balbi – l’Inquisizione era tutta nelle mani dei domenicani – e il vicario Bernardino de’ Liuzzi, che ha preso il posto del padre priore malato da sette anni, gridano all’assassinio rituale, al delitto satanico, a una presenza demoniaca.

«Ma c’è qualcuno che non ci crede», racconta Patrizia Debicke van der Noot, l’autrice toscano-lussemburghese del recente La congiura di San Domenico, il thriller storico edito da Todaro. «E questo qualcuno è la Sentinella del Papa, il leutnant svizzero Julius von Hertenstein, responsabile dell’incolumità di papa Giulio II».

Che cosa vede Julius in quell’uccisione?

«Direi che coglie, lui nato fin troppo intelligente, cresciuto, morta la madre, da un padre anziano, una congiura ordita contro il pontefice. Julius è un uomo d’armi, ma è anche un letterato, un intellettuale conquistato dalla poderosa personalità di Giulio II. Uno Julius, l’altro Giulio, ho fatto apposta, cercando che l’uno fosse come l’alter ego dell’altro, e che i due potessero confrontarsi quasi alla pari».

Perché ha ambientato questo thriller storico a Bologna?

«L’avventura precedente di Julius, la prima, avveniva a Roma. Bologna, dove sono venuta più volte, mi piaceva per i suoi palazzi, le sue stradine, i suoi portici, Palazzo Re Enzo, Palazzo d’Accursio, via Santo Stefano, via Castiglione. Quando si scrive un giallo storico, un feuilleton ispirato all’eterno modello di Dumas padre, serve una cornice plausibile per inserirvi la trama. I primi anni del ‘500 furono qui particolarmente tempestosi, con il papa soldato, o meglio quel Papa Re che fu Giulio II, caccia i Bentivoglio, e il loro ritorno cinque anni dopo, nel 1511. Nel frattempo Michelangelo, che come Ariosto e Machiavelli appare nel libro e trova, mentre lavora in San Domenico, un anello determinante per le indagine, aveva scolpito la statua bronzea di Giulio II, posta sulla facciata di San Petronio. Al ritorno dei Bentivoglio, che tentarono un’estremo ritorno nel 1527, la statua venne fatta fondere da Alfonso d’Este per ricavarne un cannone, detto la Giulia».

Il ‘500 è la sua epoca preferita?

«Mi sono cimentata anche con altre epoche, il Sei e il Settecento. Ma il passaggio di Giulio II, che irrompe nella storia in modo imperioso, è quello che mi attrae di più».

Chi esce male dalla storia sono i religiosi...

«Tranne l’onesto fra’ Benedetto, il priore infermo di San Domenico che alla fine, nonostante la sofferenza, riesce a fornire rivelazioni decisive per scoprire i colpevoli. Ma il resto sono frati e vescovi corrotti, piccoli individui, trescatori, interessati solo alla carica».

Sbaglio o non c’è una donna protagonista?

«Le donne hanno la forza di cambiare l’andamento della storia. Qui ci sono dei camei, come la madre superiora di San Mattia e la suora cieca, e Maria di Bezzo, l’Erbolaia, bollata come una strega, che alla fine morirà».

Per la Sentinella svizzera si annunciano nuove fatiche.

«Penso a un terzo thriller costruito intorno ai Gonzaga, Roma sarà l’ambiente principale, ma una parte si svolgerà anche a Bologna».

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