Ermanno Olmi, il ricordo di Farinelli. "Grande umanista senza macchia"

Il direttore della Cineteca e suo grande amico, "Amava Bologna e con lui abbiamo fatto lavori importanti"

Ermanno Olmi in via Zamboni durante le riprese de 'I cento chiodi"

Ermanno Olmi in via Zamboni durante le riprese de 'I cento chiodi"

Bologna, 8 maggio 2018 - Il tempo si è fermato per Ermanno Olmi. La notizia della sua morte, a 86 anni, è arrivata in città come la scomparsa di un grande maestro del cinema mondiale, ma anche come quella di un nostro concittadino. Perché grazie al rapporto con la Cineteca, il regista è diventato bolognese nel cuore, che con generosità ha dato tanto, artisticamente, alla città. E proprio qui, nel 2005, decise di ambientare alcune scene del film Centochiodi, che poi fu presentato in una memorabile serata all’Arlecchino. E prima ancora, era l’inizio del nuovo Millennio, il regista bergamasco che poi si trasferì ad Asiago, portò qui la sua ‘non scuola Ipotesi Cinema’, attiva fino a sette anni fa, come ricorda Gian Luca Farinelli, direttore della Cineteca e suo amico.

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Farinelli, come ha accolto la notizia della morte di Olmi? «Da molti anni non stava bene e combatteva con malattie che era riuscito sempre a vincere. Pensavamo che ce l’avrebbe fatta ancora una volta, perchè lui era un guerriero che ci aveva abituati alla vittoria».

Come nacque l’amicizia di Olmi con Bologna? «Era il 2000 e io ero stato appena nominato direttore della Cineteca. Paolo Cotignola, bolognese, che è diventato il montatore di Ermanno, incontrato alla sua ‘non scuola Ipotesi Cinema’ di Bassano del Grappa, mi disse della rabbia di Olmi per come si era conclusa l’avventura del laboratorio e mi suggerì di parlare con lui».

E la portò qui la ‘non scuola’... «L’idea era talmente generosa, perché per la scuola Ermanno lavorava gratis: fu un’occasione fortunata e partimmo con questa avventura. Ricordo le lunghe discussioni con gli allievi sul valore del mestiere di creare immagini. Dopo la scuola ci fu la produzione di Terra Madre nel 2009, il restauro de Il Posto e de L’albero degli zoccoli, che quest’anno compie 40 anni e che vinse la Palma d’oro a Cannes».

A Bologna aveva deciso di ambientare alcune scene di Centochiodi: era una dedica speciale alla nostra città? «Sì, due scene molto belle, tra cui quella famosa girata nella biblioteca universitaria. Questo fu ancora un modo per dimostrare il suo amore per la nostra città, dove entrò in punta di piedi, perché era schivo, non interessato all’apparire, un grande umanista senza macchia».

Quando vi siete sentiti l’ultima volta? «Gli ho telefonato per gli auguri di buon anno e l’ultima volta che ci siamo visti è stato l’anno scorso, a Milano, per il documentario su padre Martini. Ermanno aveva preparato il suo distacco alla vita e questo film è la preparazione per quello che ci sarebbe stato dopo. Però, ricordo che anche quando affrontava temi supremi, lo faceva col sorriso, parlare di morte era per lui parlare di vita».

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