
Bologna, 16 novembre 2023 – Quali sono le cause che hanno portato alla scomparsa dell’uomo di Neanderthal? Quale è stata la catena di eventi che ha condotto a questo fenomeno? Sono grandi interrogativi irrisolti del percorso evolutivo seguito dal genere Homo. Ma ora l’università di Bologna darà il suo prezioso contributo per trovare una risposta. Come? Grazie a Last Neanderthals , prestigioso progetto di ricerca Synergy Grant – finanziato con 13 milioni di euro dallo European Research Council (ERC)–, il primo di questo tipo vinto dall’Alma Mater. Il coordinatore è Stefano Benazzi , professore ordinario di Antropologia fisica al Dipartimento di Beni Culturali, principal investigator con Francesco Berna , dell’Università di Siena e da Omry Barzilai Haifa), con la collaborazione delle Università di Pisa e di Colonia. Di tutto questo parliamo nella puntata di oggi del podcast il Resto di Bologna.
Benazzi, ci racconta questo progetto così ambizioso?
"Aree disciplinari diverse collaborano per rispondere a un’unica domanda: l’estinzione del Neanderthal. È un quesito che ci portiamo dietro da almeno 100 anni. Le ricerche in preistoria sono state molto eurocentriche e abbiamo tanti dati dall’Europa occidentale, ma pochissime da quella orientale".
Di che aree parliamo dunque?
"Il Neanderthal è una specie umana che ha vissuto dai 400mila anni ai 40mila anni fa in un territorio vasto, dal Portagallo alla Siberia, dal Nord Europa a Israele. Le informazioni vengono soprattutto da Francia, Spagna, un po’ dall’Italia e dall’Altaj. Le ipotesi formulate finora sull’estinzione vengono da zone periferiche, non centrali, che sono anche le più interessanti perché vi sono avvenuti incontri fra Sapiens e Neanderthal. E lì bisogna investigare".
Quali ipotesi esistono oggi?
"Ci possono essere stati fattori di carattere demografico: i gruppi erano piccoli e sono fisiologicamente scomparsi. Un’altra ipotesi è ambientale e si riferisce a un repentino aumento della rigidità climatica o delle radiazioni cosmiche che avrebbe sfavorito il Neanderthal e non il Sapiens, unica specie umana sopravvissuta. O anche patologie o la competizione per le risorse con i Sapiens e non possiamo escludere l’interferenza di altri gruppi umani, ad esempio i denisoviani, di cui si sa poco".
E cosa si sa del Neanderthal?
"Le ricerche negli ultimi 20 anni hanno fornito una nuova immagine: fino alla fine del Novecento era rappresentato come un cavernicolo scimmiesco. Ora sappiamo che era diverso, ma molto più simile a noi. Aveva una cultura sofisticata, usava strumenti litici (anche collanti), in certi contesti sono presenti ornamenti che fanno pensare a capacità cognitive più simili alle nostre. Le differenze si hanno fra i 45mila e 40mila anni fa, quando qualcosa cambia".
Perché lo studio è così importante per gli uomini di oggi?
"Chi siamo e da dove veniamo è la domanda che ci portiamo dietro da sempre. Il periodo fra i 60 e i 40mila anni fa è cruciale perché vivevano vari gruppi umani e alla fine ne è rimasto solo uno: perché? E poi l’incrocio fra il Sapiens e questi gruppi è rimasto nel nostro dna. Sono quelle parti selezionate positivamente e che caratterizzano la nostra vita attuale. Mi riferisco ad alcuni geni antivirali, ad esempio contro il Covid. Ci sono geni legati al metabolismo: è importante capire cosa abbiamo ereditato, cosa è stato selezionato. Soltanto da 40mila anni fa in poi l’uomo sapiens è rimasto solo, tutto si è giocato lì".
Gli sviluppi del progetto?
"Abbiamo individuato circa 30 siti archeologici, scaveremo per ottenere materiale, anche osteologico, e io mi occuperò di eventuali resti umani: la speranza è di trovarne".
I tempi?
"Il progetto inizierà ufficialmente il primo giugno 2024, con l’assunzione di dottorandi e post dottorandi: circa 34 persone (11 a Ravenna). È previsto poi un incontro di avvio con i collaboratori la prima settimana di ottobre: definiremo un calendario per le campagne di scavo che cominceranno dal 2025".
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