BEATRICE BUSCAROLI
Cultura e spettacoli

La Pinacoteca vestita di nuovo. Le sale dei grandi in grigio azzurro

Il colore dà un senso di unità al percorso del Cinque e Seicento: approfondimenti, restauri e più opere

I mesi di chiusura hanno consentito lavori finanziati con i fondi del Pnrr: non solo un percorso meglio armonizzato ma anche un recupero di opere che prima non erano esposte. Coinvolto tutto il personale dell’istituzione

I mesi di chiusura hanno consentito lavori finanziati con i fondi del Pnrr: non solo un percorso meglio armonizzato ma anche un recupero di opere che prima non erano esposte. Coinvolto tutto il personale dell’istituzione

Le novità più eclatanti, per chi conosca bene la Pinacoteca Nazionale ma anche per chi ne percorra gli ambienti per la prima volta, nelle rinnovate sale del Cinque e del Seicento (Reni, Carracci e Manierismo) sono tre: il nuovo colore delle pareti, la tonalità grigio azzurro suggerita dallo sfondo del Sansone di Guido Reni che sembra davvero donare un’unità di tempo e di luogo a tutte le imponenti tele delle sale centrali della Pinacoteca; la solenne presenza di un ottimo busto di Antonio Canova, lo scultore a cui l’Italia intera deve la restituzione delle opere ’requisite’ dai commissari napoleonici, e l’imponente e non consueto lavoro di squadra che, in un’occasione come questa, ha coinvolto tutti i dipendenti dell’istituzione.

Per tornare a Canova e al suo poco conosciuto merito, troneggia nel passaggio tra le due sale principali con l’erma che gli dedicò Gaetano Matteo Monti, lavoro molto apprezzato ai suoi tempi ed esposto in occasione della visita di Canova a Bologna nel 1810. "Ho il contento di annunciarle che si sono per me ricuperati li migliori quadri, che vennero tolti a Bologna": con queste parole Canova comunicava al presidente dell’Accademia di Belle Arti di Bologna il successo della sua straordinaria missione, la restituzione delle opere sottratte da Napoleone. L’ Estasi di Santa Cecilia di Raffaello, la Strage degli innocenti di Guido Reni, la Vestizione di San Guglielmo di Guercino sono soltanto alcuni tra i capolavori (14) che furono immediatamente esposti in Pinacoteca subito dopo il ritorno da Parigi.

La sale rinnovate, chiuse per pochi mesi e da oggi riaperte, sono state oggetto di lavori, restauri, allestimento di pannelli e approfondimenti storico-artistici, consentiti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) previsti dallo Stato. I nuovi supporti espositivi che aggiungono spazio alle sale ampliano la scelta delle opere esposte: dipinti di piccolo e medio formato (opere di Bartolomeo Cesi, Samacchini e Sabatini) arricchiscono i cataloghi di autori già presenti con pale imponenti, appaiono ora due capolavori di accalorata tensione di Ludovico Carracci eseguiti per la Certosa e l’eccezionale tela con Annunciazione di Orazio Samacchini. Separato dalla sua cornice (ora appartenente all’Accademia di Belle Arti), un magistrale saggio di ebanisteria del secondo Cinquecento attribuito alla stessa mano dell’autore del dipinto, si è così ricongiunto all’opera a cui era destinato dopo due secoli.

Lo sforzo che si rivela in ogni particolare, dalle didascalie alle legende, intende armonizzare il percorso con un’unità di stile che risponde al criterio, già dichiarato da Andrea Emiliani, direttore della Pinacoteca e soprintendente per decenni, di "innovare per educare". Una sorta di nuova declinazione del ’docere delectando’ che si rivolge anche ai nuovi e giovani visitatori, conquistandoli con grafica e descrizioni avvincenti.

Infine: il lavoro di squadra. Dai curatori che già divisero restauri, mostre e quotidiana manutenzione con i passati direttori, ai giovanissimi storici dell’arte ora in forza in Pinacoteca, tutti evocano una diffusa "emozione" che li ha guidati nel corso delle scelte che, come dice il direttore reggente Costantino D’Orazio, "sono sì scelte, ma anche responsabilità". Assolutamente consci che le novità si confrontano col nobile passato di quel luoghi, tutti rispettano la storia anche recente degli allestimenti, fino a parlare di "un museo che diventa museo di sé stesso". Negli anni Ottanta, a cui risalgono alcuni tra i precedenti restauri di opere ora riviste, molti di loro infatti non erano neppure nati.