Libri: L'altra casa di Simona Vinci. Nuovo romanzo tra melodramma e mistero

La scrittrice torna a Budrio: "Un territorio che mi costringe a restare. Mi affascinano i luoghi con storie stratificate"

Simona Vinci (Valentina Tamborra).

Simona Vinci (Valentina Tamborra).

Bologna, 9 novembre 2021 - C’è una casa a Budrio che emette "un sortilegio", immersa nel suo misterioso giardino. Ha "un’anima vegetale", un po’ come quel volto di donna, in copertina, che si trasforma in alberi e rami. È L’altra casa (Einaudi), il nuovo romanzo della scrittrice Simona Vinci, da oggi in libreria. In quella Villa Giacomelli in cui visse la mezzosoprano Giuseppina Pasqua (1851-1930), amatissima da Verdi, e che ospitò il matematico Arturo Reghini, troviamo quattro personaggi in crisi ossessionati da fallimento e bisogno di soldi. 

La casa del romanzo è una vera protagonista e sembra muovere gli eventi. In che modo le case influenzano la nostra vita? Hanno influenzato la sua? "Le case sono il nostro guscio protettivo – risponde Simona Vinci –, e anche gli spazi della memoria, della solitudine, ma anche il possibile incontro con le proprie paure, il nido nel quale sentirci al sicuro o viceversa una trappola, una costrizione. Ne sono sempre stata affascinata: gli edifici raccontano storie stratificate. Una vertigine temporale che converge in un unico luogo: un tetto, un perimetro, i muri, le fondamenta. Mi interessava indagare il topos della letteratura gotica: la casa infestata, la memoria del passato che influisce sul presente cambiando ottica. Sono sempre stata attratta dai luoghi che conservano memoria degli esseri umani che li hanno abitati. Per me le case sono un’ossessione, ma non ne ho mai sentita ‘mia’ fino in fondo nessuna, come se la vera casa fosse sempre un’altra, da un’altra parte. E poi c’è il parco, che è la dimensione esterna che dialoga con il dentro". Nel romanzo si torna a Budrio e sulla strada provinciale. "C’è un lato molto affascinante in questo mio continuo ripercorrere le strade che sono state quelle della mia infanzia trovando sempre nuove storie, prospettive, personaggi e fatti da indagare, ma ce n’è anche uno inquietante, come se questi posti mi costringessero a restare anche quando io vorrei andare altrove. Un po’ come nella serie di Emmanuel Carrere Les Revenants che non riescono a uscire da quel paesino nella nebbia". La villa esiste davvero, così come molti personaggi evocati. Come ha scoperto questi luoghi e queste vicende? "Abitavo accanto alla villa ed ascoltavo distrattamente i racconti della proprietaria, tanti anni fa. Non ascoltavo lirica, ma qualcosa di quei racconti evidentemente si archiviava in un cassetto del cervello. Mi pareva un peccato che un personaggio come Giuseppina Pasqua rimanesse relegato a poche righe in qualche manuale. E mi ha colpita la coincidenza che personalità straordinarie avessero vissuto nello stesso posto". Il Melodramma poi lo studiato a lungo. Come è stata questa esperienza? "Totalizzante. È stata una decisione consapevole e inflessibile e mi ci sono applicata moltissimo. Il lavoro preparatorio, lo studio, spesso in un romanzo scompaiono quasi, come è giusto che sia perché devono essere al servizio di una storia, ma sono la base di partenza, non ornamenti. Rimpiango di non aver cominciato prima". Una delle protagoniste, Maura, è una cantante che rischia di perdere la voce. C’è una riflessione su dove possono portarci le nostre passioni e fino a che punto fanno parte di noi? "Una passione, un talento da perseguire e sul quale riversare le proprie energie per condividerle poi con altri sono un dono, qualcosa che consola e regala senso all’esistenza anche quando tutto sembra non averne, però sono anche un tormento e una fatica perché richiedono sacrificio e rinunce". Nella casa si aprono mondi paralleli e si risvegliano fantasmi interiori. Come si è trovata in questa dimensione ‘gotica’? Aspetto che la Bassa evoca e che riporta anche alle atmosfere dei fratelli Grimm... "Credo che questa dimensione sia presente, in nuce, in molte delle cose che ho scritto sino ad ora, e sono anche un’appassionata lettrice di gotico, ma quello che mi interessava di più era appunto esplorare la dimensione interiore che si apre nei protagonisti della vicenda di fronte a un luogo che sembra chiedere loro conto di tutti gli errori che hanno fatto per potersi, forse, riscattare e trovare ciascuno la propria verità esistenziale". La parola casa è stata centrale durante la pandemia. Questo aspetto ha influenzato la stesura del libro? "Nel febbraio-marzo 2020 ero nel pieno della scrittura e quando è partito il primo lockdown mi è apparso in tutta evidenza a cosa avevo lavorato fino a quel momento, quasi lo presentissi: un dramma da camera verticale in un unico luogo, dove i personaggi si domandano cosa dovrebbe succedere al mondo per potersi fermare. Solo che quel fermarsi in uno spazio chiuso coincide per loro con un movimento altro, forse il più difficile delle loro vite".

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