Mi ritorni in mente, Italia. Non erano solo canzonette

La musica e la nostra storia in mostra da oggi a Bologna. Dalla leggerezza anni Sessanta alla perdita dell’innocenza

Tra i protagonisti della nostra storia, raccontati in mostra, anche Gianni Morandi

Tra i protagonisti della nostra storia, raccontati in mostra, anche Gianni Morandi

Bologna, 29 novembre 2019 - La nostra Italia, la nostra cara vecchia Italia degli anni beati - i Sessanta - e poi di quelli maledetti - i Settanta - ci ritorna in mente grazie a una mostra che si apre oggi a Bologna, e che durerà fino a primavera. Sono nato nel 1958 e mi emoziona il fatto che la mostra (foto), che è una rassegna delle canzoni che hanno scandito la nostra storia, parta proprio da quell’anno, da quando Domenico Modugno vinse Sanremo con un brano che cominciava così: «Penso che un sogno così non ritorni mai più». Era «Nel blu dipinto di blu», da tutti conosciuta come «Volare». E l’Italia davvero cominciava a volare.

Eravamo ancora povera gente, uscita distrutta e umiliata dal disastro della guerra, ma poi forgiata dalle fatiche del dopoguerra, dalla miseria e dalla forza di volontà, dalla voglia di ricostruire. Ricordo un Carosello della benzina, diceva «Con Api si vola» e c’era Modugno che volava su una spider: gli italiani cominciavano ad avere l’automobile, la 600 e la 500, cominciavano a conoscere l’ebbrezza delle gite fuori città, che erano poi povere gite, un mordi e fuggi al mare per mangiare il pesce e il ritorno di notte con le teste dei bambini crollate nel sedile di dietro.

Le donne avevano, con la lavatrice, una prima liberazione; molti italiani scoprivano il bagno in casa; la carne arrivava in tavola non soltanto a Natale. La televisione era ancora un lusso, ma si poteva andare al bar a vedere Lascia e raddoppia e le partite della Nazionale che vinceva i campionati europei. Possiamo dirlo? Avevamo molto meno di adesso, ma eravamo più contenti. Perché avevamo una speranza. Quando alle Olimpiadi di Roma Livio Berruti vinse la medaglia d’oro battendo i giganti russi e americani, pensammo che De Gasperi era andato alla conferenza di pace con un paltò risvoltato e ci sentimmo riscattati. Berruti era un mingherlino e portava perfino gli occhiali, ce li aveva anche nella figurina dell’album Panini dei «Campioni dello sport», e io pensavo che se uno con gli occhiali vince una medaglia d’oro tutto è possibile.

Qui il nostro speciale - VIDEO Il Volo: "Ci piace cantare un'epoca" - Giacobazzi: "Io, cantautore mancato" - Cinzia Th Torrini: "Un sogno diventato realtà. Devo ringraziare Lilly"

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Guardate la tv di quegli anni. C’era un canale solo, il Nazionale – in bianco e nero ça va sans dire – gli spettacoli prodotti negli studi Rai erano teneri e goffi, Giovanna la nonna del corsaro nero e Rin Tin Tin, i caroselli con Topo Gigio (ma cosa mi dici mai) e le stelle sono tante milioni di milioni: ma tutto faceva trasparire allegria, fiducia, speranza. E la musica leggera era la colonna sonora di quel momento magico. Il ritmo di guarda come dondolo, lo Yéyé di Rita Pavone e Celentano. Io ero innamorato di Caterina Caselli. Un pomeriggio la vidi a Milano Marittima – avevo sei anni – e una mia cugina più grande le disse che ero un suo fan. Lei mi prese in braccio e mi diede un bacio sulla guancia. Me la presentarono poi nel 2011, al festival di Sanremo, e stringendole la mano emozionato come allora le dissi: «Lei è la prima donna che mi ha baciato».

Tutta questa allegria finì giusto cinquant’anni fa. Il 12 dicembre 1969 perdemmo l’innocenza con la strage di piazza Fontana. Sedici morti, un’ottantina di feriti. Poche sere dopo, il 20 dicembre, Gianni Morandi è a Canzonissima con un brano che si intitola «Ma chi se ne importa», e non vorrebbe salire sul palco. Lo costringono, perché lo spettacolo deve continuare.

E continuerà, ma senza più quella leggerezza nel cuore. Le canzoni degli anni Settanta hanno dentro un dolore, una rabbia. Sono gli anni delle canzoni impegnate, intrise di politica, di voglia di rivolta. E il Paese è spaccato. Golpisti e bombaroli neri, brigatisti rossi. Non sembra esserci più, nella musica, neppure lo spazio per l’amore. C’è Battisti, però. Dicono che parla di privato mentre tutto dovrebbe essere politico, e qualcuno gli dà (follia) del fascista.

La mostra arriva fino al 1982, quando l’Italia vince i Mondiali e ci illudiamo che stia per tornare l’aria vincente dei primi Sessanta. Non sarà così. Verrà semmai un po’ di Italia da bere, le tv commerciali e tanto riflusso. Ed è ancora la musica a interpretare la storia: «Delle rabbie antiche non rimane che una frase o qualche gesto», canta Guccini nella Canzone delle osterie di fuori porta.

Un sogno così non è tornato mai più, da quel 1958. Siamo, ancora oggi, segnati da un pessimismo, da una sfiducia che ci paralizza. E invece più che di una buona finanziaria o di un buon governo avremmo bisogno di ritrovare la speranza. Mi ritorni in mente bella come sei, cara vecchia Italia che oggi una mostra ci fa rivivere: non puoi essere un angelo caduto in volo.

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