Piera Degli Esposti compie 80 anni

Oggi il compleanno della grande attrice, tre giorni di festa

Piera Degli Esposti

Piera Degli Esposti

Bologna, 12 marzo 2018 - Una festa lunga più giorni. «Innanzitutto per sconfiggere la paura e guardare al futuro – racconta Piera Degli Esposti – ma poi anche per far sapere a tutti che... ebbene sì, compio 80 anni. Mi sento di dirlo apertamente. Per certe attrici sembra quasi un dovere nascondere l’età ma io voglio andare contromano anche in questo». L’attrice, dunque, oggi festeggia il compleanno, essendo nata a Bologna il 12 marzo 1938. ‘Siamo marzolini’, le diceva Lucio Dalla a cui l’attrice era rimasta dai tempi dell’infanzia legata con fraterna amicizia.

Cosa significa compiere 80 anni?

«Per diverso tempo sono rimasta spaventata da questa cifra perché è un numero che ad un’attrice italiana porta problemi sul lavoro. Da noi non si pensa ai meravigliosi esempi internazionali di Judi Dench, Angela Lansbury o Maggie Smith.. Adesso che ci sono arrivata, mi sono detta: dai, facciamo festa con il maggior numero di persone possibili».

E cosa prevede la sua agenda?

«Tre feste a casa di amici in giorni diversi. Prima un party di un centinaio di persone, tutta gente di cinema. Poi lunedì in tantissimi ci mi aspettano a casa di Marisa Laurito e ancora martedì amici molti speciali organizzeranno una coloratissima festa in mio onore: ogni oggetto della loro meravigliosa casa avrà i colori che io preferisco, dal rosa al blu. E in più mercoledì Sky rimanderà di nuovo in onda il docu-film Tutte le storie di Piera di Peter Marcias».

E come mai da tutti questi festeggiamenti è esclusa Bologna?

«È solo una questione climatica. In questo periodo preferisco non mettermi in viaggio e proteggermi nel calore delle case».

Ha detto che vive a Roma per mantenere la nostalgia di Bologna.

«In un certo senso sì. Quando giro per il centro sotto i portici mi sento la ragazzina di un tempo, la mia fisionomia è bolognese. Questa città resta il mio rifugio».

I luoghi della sua infanzia erano attorno a via Orfeo?

«Sì e con la memoria torno spesso al mio vissuto. Ci sono luoghi carissimi come i Giardini Margherita: penso ancora alla panchina dove chiacchieravo con mio padre. Quelle sono state le conversazioni più alte della mia vita».

La famiglia. È fondamentale?

«Certo. Ricordo le corse in bicicletta con mia fratello Franco attorno a via delle Rose, i colloqui con mia sorella Carla su una panchina di porta Castiglione, le incursioni al cinema Rialto con mia cugina Aurora...».

Ma c’è un luogo di Bologna che le è sempre piaciuto più di ogni altro?

«La piazza della chiesa dei Servi. Lì, molto tempo fa, si affacciava una profumeria elegantissima con le commesse vestite di rosa e di nero. Era un luogo teatrale che mi affascinava. Ho convinto Lina Wertmuller a girare in quel posto a fine anni Ottanta una scena del Decimo clandestino».

Si sono concluse da poco le celebrazioni in memoria di Dalla. Chi era per lei Lucio?

«Lo dico sempre: un fratello. Ricordo i giri in Lambretta sui colli, le serate nella sua casa di via D’Azeglio. Era e resta il mio portafortuna. Lucio aveva deciso di farmi felice e io sono sicura che lo fa ancora da lassù. Mi manda giù dal cielo molte cose, forse fiori. Lui adorava gli alberi di Natale ma a me i fiori fanno impazzire».

Perché non torna a vivere qui?

«Perché a Roma è tutto cominciato e tutto deve continuare. Volevo essere un nome e ci sono riuscita. Ho incontrato difficoltà, porte chiuse e ostilità. Ma alla fine ce l’ho fatta».

Fa i conti con l’età?

«Mi spiace essere diventata grande ma l’avanzare dell’età mi ha portato sorprese. Quando ero al massimo della notorietà teatrale, ho scelto di fare film e fiction. Il mio coraggio è stato premiato».

I punti forti della sua carriera?

«Tanti, a partire dallo spettacolo Molly cara di Joyce che mi ha fatto compiere un salto di attenzione. Eppoi i grandi registi teatrali, i no a Strehler e Carmelo Bene, il lancio nel mondo del cinema grazie a L’ora di religione di Bellocchio. E dopo Tornatore, Sorrentino...».

Parla spesso della sua diversità. Cosa intende?

«Lo racconto con un aneddoto. De Chirico, vedendo uno dei miei primi spettacoli dove interpretavo un ragazzo, mi urlò alla fine ‘bravo’. Nei camerini lo avvicinai con timidezza e gli chiarii che ero donna. Lui mi rispose: ‘bravo lo stesso’. Ecco lì capii che il talento va inteso in termini assoluti».

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