Roberto Villa: "Pasolini, storia e colori d’Oriente"

Il fotografo era sul set del film ‘Il fiore delle Mille e una Notte’ tra Yemen e Persia: gli scatti rivivono in un album di quasi 300 pagine

Pier Paolo Pasolini immortalato in uno degli scatti sul set del film

Pier Paolo Pasolini immortalato in uno degli scatti sul set del film

Bologna, 31 dicembre 2021 - Quando Pasolini guardò per la prima volta l’album contenente una ventina di diapositive del film si stupì al punto da esclamare: "Ma che bei posti, che bei colori". Quasi senza rendersi conto che lui, quei posti e quei colori, li aveva immortalati ne Il Fiore delle Mille e una Notte . Adesso molte di quelle immagini (quasi 300 delle 8000 scattate durante la lavorazione) sono andate a costituire l’elegante volume di Roberto Villa intitolato Gli Orienti di Pier Paolo Pasolini (NFC editore, 292 pagine), che alle foto unisce gli scritti di Angela Felice, Roberto Chiesi e Paolo Nutarelli. Villa (di cui si ricordano le collaborazioni con Bruno Munari e Dario Fo) è stato nel 1972 il fotografo di scena di quel film vincitore del premio speciale della giuria a Cannes in luoghi per il periodo ostici come lo Yemen e la Persia (l’attuale Iran) e dell’esperienza ha mantenuto un lucido ricordo.

Una selezione di quelle foto (circa tremila) sono custodite dalla Cineteca insieme a molte stampe e materiali del tempo e costituiscono una parte della donazione che nel 2011 ispirò una mostra . "Per Pasolini Bologna è stata fondamentale nella formazione", dice. Il libro anticipa le celebrazioni del 2022 per ‘il centenario’ del regista nato a Bologna il 5 marzo 1922.  

Villa, come conobbe Pasolini?

"Capitò a un dibattito a Genova dove si parlava di come la tv potesse o meno usare il cinema, e cioé se erano lecite o meno le interruzioni pubblicitarie. Allora alternavo l’attività di ingegnere a quella di fotografo. Alla fine mi fermai con lui a parlare del linguaggio della fotografia, visto che le semiotica allora era di gran moda. Congedandosi, mi disse all’improvviso se volevo continuare la conversazione sul set del suo nuovo film in Yemen. Non ci pensai due volte e poco dopo ero a Aden. Fu un tuffo in una città fantasma abbandonata dagli inglesi dove i cinesi avevano fatto le strade e i russi gli ospedali".

Com’era lavorare con lui?

"Era un uomo simpatico e divertente, ma soprattutto un gran faticatore. Partimmo con un copione di 500 pagine che ben presto stravolse portandolo a mille. Ricordo che ribaltò radicalmente una parte scritta da Dacia Maraini perché era convinto non funzionasse. Era preso dal set, lo potevi fotografare senza che se accorgesse. Una volta un macchinista fece crollare inavvertitamente una scenografia. ‘Che salame’, si limitò a dire senza arrabbiarsi".

Come si potevano girare scene sessualmente esplicite in quei Paesi e in quel tempo?

"Blindando i luoghi. A Ta’izz, in Yemen, quelle riprese si facevano in un appartamento accessibile solo agli addetti al set mentre a Isfahan, in Persia, lo scenografo Dante Ferretti aveva costruito una stanza nella parte alta di una navata della Moschea del Venerdì per usare al meglio gli specchi del soffitto. Devo dire che in Persia avevamo l’appoggio della sorella dello Scià che aveva raccomandato a Pasolini un amico come attore".

Erano luoghi pericolosi?

"Pericolosi e difficili. Basti dire che quando noi della troupe camminavamo in strada indossando i pantaloni corti venivamo fischiati. A un certo punto la polizia scoprì che collaboravo alla rivista ‘Playboy’ e mi voleva espellere. Incredibile, ma vero: mi salvò il controspionaggio".

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