Sofia Bonvicini: "L’Uomo di Tsushima è tornato. Ecco il genio di mio padre"

La figlia di ‘Bonvi’ racconta il significato della ripubblicazione del fumetto "Una storia incredibile, dove emergono le sue grandi passioni. E che avventura"

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Bologna, 23 dicembre 2021 - Nello studio di suo padre, in via Rizzoli, poteva aprire e sfogliare tutto, ma guai a toccare le tavole de L’Uomo di Tsushima. Sofia Bonvicini ricorda benissimo il tempo passato con Bonvi, come lei chiama – come tutti noi – quel papà-artista speciale, che mancò troppo presto nel 1995, a soli 54 anni, quando lei ne aveva solo 11. Ma non è la lunghezza delle stagioni, a volte, a fare la pienezza di una relazione, bensì l’intensità di una condivisione del quotidiano. Ed è diventata proprio Sofia, ormai da tanti anni, la curatrice dell’archivio del geniale maestro di un’epoca, che amò tantissimo il suo Uomo di Tsushima, pubblicato nel 1978 come tredicesimo volume di Un uomo un’avventura , la collana più all’avanguardia dell’epoca, edita da Cepim, oggi Sergio Bonelli Editore. Quarantatré anni dopo, Sofia Bonvicini ha la soddisfazione di vedere ripubblicato questo libro per i tipi di Nona Arte. Sofia, perché questo libro è così importante? "Perché emerge la grande passione di Bonvi per la storia. Da intellettuale quale era, naturalmente non allineato e non riconosciuto, con la sua anarchia innata, racconta la storia e scrive una ‘piccola opera letteraria’, più che un fumetto". Un capitolo paradossale, che non poteva non affascinare Bonvi. "Sì, perché racconta la guerra russo-giapponese, in particolare dell’ultimo scontro navale tra le due potenze, che avvenne nel 1905 nello stretto al largo dell’Isola di Tsushima e si tratta di un episodio abbastanza inverosimile, poiché le navi russe furono state distrutte dall’esercito giapponese, ma andarono anche incontro a un’autodistruzione. Questa è la storia, ma Bonvi la fa sua". Come? "Si trasforma in Jack London e narra l’episodio in differita, anni dopo, quando si ritrova, impersonando Jack London, sulle rive del Brasile dove incontra una strega, una bruxa , e lei, posseduta, gli racconta di come sono andati veramente gli eventi a Tsushima. ‘Questa è la cronaca di quegli avvenimenti così come ne sono stato testimone’, scriveva Bonvi, e sappiamo che c’è una sottile differenza tra la verità storica e la testimonianza. Da questo libro emerge anche il grande amore di Bonvi per i viaggi". Una storia incredibile. "Sì, e si conclude in modo buffo, con Bonvi che cammina all’alba, su una spiaggia del Brasile che potrebbe essere Copacabana, con questo amico che gli dice: ‘La storia della bruxa la devi raccontare’. E lui che risponde: ‘Io sono uno scrittore serio, non di fumetti, e una storia così potrebbe essere raccontata solo in un albo di fumetti’". Bonvi amava vestirsi di altre personalità per nutrire la sua ispirazione? "Se dovessi descrivere mio padre, utilizzerei una metafora presa a prestito dal mondo del cinema, e lo descriverei attraverso Big Fish di Tim Burton, proprio perché lui era così, viveva quello che immaginava e viceversa. Se un giorno si svegliava e si sentiva Jack London, si vestiva da Jack London e trattava tutti dando del ‘voi’. Quello che più mi mancò di lui, improvvisamente, a parte la sua fisicità, fu soprattutto il mondo che creava attraverso i suoi occhi. Il suo essere, perché la realtà lui non la viveva, non la subiva, la immaginava".

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