Bulgari, un progettista di Bologna per il nuovo stabilimento

Intervista a Luca Drago (Open Project), autore del progetto per il nuovo stabilimento che sorgerà in Piemonte: "Così abbiamo unito storia e innovazione"

La nuova fabbrica a Valenza (Alessandria)

La nuova fabbrica a Valenza (Alessandria)

Bologna, 26 aprile 2017 - È made in Bologna il nuovo tempio dell’oreficeria di Bulgari: uno stabilimento di 14mila metri quadrati pronto a ospitare fino a 700 dipendenti a Valenza, in provincia di Alessandria, che ricalcando l’arte orafa fonde le forme e i luoghi della tradizione con un concept tutto proiettato al futuro. Lo ha realizzato Open Project, lo studio di architettura bolognese già autore della torre Unipol e del nuovo Comune in piazza Liber Paradisus (insieme con Mario Cucinella), la sede Cna a Roma e il il padiglione degli Emirati Arabi a Expo Milano.

E Bulgari?

«Ci avevano chiesto un progetto che fosse non soltanto industriale, ma anche culturale – spiega Luca Drago, architetto e socio di Open Project –. Ci siamo ispirati a questo doppio asset».

Cosa ne è uscito?

«Due strutture, una esistente e l’altra costruita ex novo, unite da un collegamento sotterraneo. La prima, che funge da luogo di rappresentanza, è il vecchio casolare dove si vuole avesse sede il laboratorio del primo orafo di Valenza. È rimasto uguale, ma il suo corpo è stato sdoppiato con un’estrusione a specchio, che funge da trait-d’union con lo stabilimento sorto di fianco: un enorme rettangolo fatto di vetri e luci».

Consumerà quanto una fonderia...

«E invece il suo impatto energetico è zero, poiché costruito in maniera totalmente sostenibile».

Le caratteristiche?

«La sfida era unire l’identità storica con un’ottimizzazione industriale degna di questo nome, pronta ad accogliere l’innovazione della Fabbrica 4.0, i luoghi di un’academy dove fare cultura e formare le persone. Il tutto, infine, si sarebbe dovuto coniugare con una domanda di sicurezza».

Manca solo il piacere di lavorarci per così tante ore al giorno.

«In questo aiuta una corte interna, sulla quale affacciano tutti i moduli produttivi. Ogni modulo, poi, dal lato esterno ha muri di vetro che guardano alla campagna circostante, per il comfort e il benessere di chi lavora, ma che dall’esterno non concedono nulla allo sguardo dei curiosi, grazie a una speciale pellicola che funge da pelle, tutelando la privacy e la sicurezza di lavoratori e prodotto. Di notte infine, grazie ai giochi di luce, l’effetto è un luccichio che ricorda molto quello dei gioielli».

In fondo doveva essere un capannone...

«Lo è ancora. Solo che una volta i luoghi produttivi erano anonimi e contava ciò che ci facevi dentro, adattando le produzioni e la vita dei dipendenti agli spazi. Oggi invece uno stabilimento, oltre che confortevole e funzionale, è parte integrante dell’immagine del marchio stesso: deve rappresentarlo in tutto, farsi ambasciatore del suo stile e dei suoi principi».

Le fabbriche non devono fare i conti con il consumo del territorio?

«L’attenzione nei confronti del territorio è preziosa. Bisogna perseguirla, anche se è chiaro che deve equilibrarsi con i bisogni delle aziende di produrre, di innovarsi, ampliarsi e cambiare pelle per meglio prepararsi alle sfide del mercato. Molti sindaci lo hanno capito e sono riusciti a coniugare perfettamente le due istanze, ovvero il rispetto del territorio e le nuove necessità industriali».

Bologna cambierà ancora faccia, e se sì in che modo?

«Il futuro della città, crisi permettendo, è di sicuro dalle parti della Bolognina. Un luogo pronto a cambiare grazie a una stazione dell’alta velocità e agli uffici comunali, due elementi che non possono che spostare l’asse cittadino. Quando la crescita della città ripartirà, se la Bolognina sarà stata messa nelle condizioni di crescere e di cambiare, il futuro di Bologna non potrà che passare da lì».

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