Saga Coffee chiusura, così Bologna ha perso la 'valle del caffè'

Dai fasti della Saeco alla decisione della Saga Coffee di chiudere lasciando a casa 220 dipendenti: qui il settore delle macchinette si è prosciugato

Il presidio dei dipendenti della Saga Coffee davanti agli stabilimenti

Il presidio dei dipendenti della Saga Coffee davanti agli stabilimenti

Bologna, 7 novembre 2021 - "Solo in Saeco eravamo anche 1.600, tra posti fissi e contratti a termine. Venivano i pullman dalla Puglia per portare la gente a lavorare. Per queste strade c’era un traffico che sembrava di essere a Bologna. Eravamo anche tremila, con l’indotto". ‘Queste strade’ sono lingue di asfalto malconcio arrampicate in mezzo al verde/giallo/arancione dell’Appennino bolognese, nel territorio di Gaggio Montano.

Saga Coffee Bologna, in sciopero anche i colleghi di Bergamo

Una di queste porta alla località Casona, dove si trova la sede di Saga Coffee, una delle tante ‘province’ di quella che fu la Coffee Valley, dove ieri mattina oltre 200 persone hanno partecipato al presidio dei lavoratori. Venerdì la proprietà, la bergamasca Evoca, ha annunciato che intende chiudere lo stabilimento, suo dal 2017, che in precedenza si era chiamato Saeco Vending ed era di Philips. Ci lavorano 220 persone, per l’80% donne. Un anno fa erano 280, prima di un accordo che prevedeva 60 fuoriuscite ma garantiva nero su bianco un futuro per il sito. Non è bastato. Il gruppo Evoca intende distribuire la produzione tra Valbrembo (Bergamo), Romania e Spagna. La decisione fa infuriare istituzioni e sindacati. "Il comportamento di questa azienda è vergognoso e inaccettabile", sbotta Stefano Bonaccini, presidente della Regione. "Abbiamo chiesto immediatamente l’apertura di un tavolo in Regione, ma informeremo subito il ministero", avverte il governatore. "Atto vile e vigliacco di una multinazionale italiana", lo bolla Primo Sacchetti della Fiom regionale. "Evoca mette in ginocchio un territorio e le sue prospettive", rincara il segretario confederale Cisl Marino Mazzini. Il tavolo a Bologna si riunirà forse martedì. L’obiettivo è far partire gli ammortizzatori e cercare una via per reindustrializzare il sito, per non perdere altri posti di lavoro in un territorio piagato da delocalizzazioni e fallimenti. I dipendenti sono in presidio da giovedì, da prima dell’annuncio della chiusura: troppo sospetto quell’ordine di caricare tutto il materiale entro sera. "Gli ultimi due camion sono tornati indietro vuoti", raccontano Giuseppina Mangone e Rudi Pesci, rsu Fiom Cgil e Fim Cisl. Loro, l’epoca d’oro, se la ricordano. In azienda ci sono dagli anni ’90: al timone c’era ancora il cofondatore Giovanni Zaccanti che poi avrebbe venduto Saeco e, anni dopo, fondato Caffitaly. Oggi Zaccanti ha lasciato il mondo del caffè.

E dell’ex ‘distretto’ delle macchinette in cui lavoravano tremila persone restano quasi solo macerie. Saeco era arrivata a contare quattro stabilimenti in quattro località: Torretta, Panigali, Casona e Iola. Panigali e Iola sono stati chiusi, Casona – Saga Coffee - ha separato le strade da Saeco e ora rischia di sparire. Saeco negli anni è passata per il fondo francese Pai e per gli olandesi di Philips, che nel 2015 annunciarono 243 esuberi dando il via a una vertenza durissima: i dipendenti scioperarono a oltranza per 73 giorni, giorno e notte, dandosi i turni in un inverno gelido. Il declino strisciava già da diversi anni. L’espansione era finita. Ma la mossa di Philips è stata una svolta. Un anno dopo il colosso olandese ha venduto il ramo ‘vending’, l’attuale Saga Coffee. Contava 300 dipendenti, ora ne sono rimasti 220, che lottano per dare una continuità allo stabilimento. Se perderanno, faranno oltre 500 posti persi in una manciata di anni. E dell’impero Saeco, a 40 anni dalla fondazione da parte di Zaccanti e di Sergio Zappella, resterebbe solo il ramo delle macchinette domestiche, a Torretta, dimezzato cinque anni fa al termine di una vertenza epocale, oggi a quota circa 350 dipendenti, ceduti da Philips alla cinese Hillhouse Capital nei mesi scorsi, con tutto il ramo Domestic Appliances del gruppo. Poi c’è Caffitaly. Intorno una montagna bolognese che, ai margini di Bologna, continua a perdere terreno. A pochi chilometri da qui c’è la Demm di Porretta Terme, che una volta era la Fiat dell’Appennino, da anni in lotta per sopravvivere. E, a Monghidoro, c’è lo scheletro della Stampi Group: un giorno, mentre terminava la vertenza Saeco, il proprietario smise di pagare i suoi lavoratori, che presidiarono lo stabilimento giorno e notte per tutto il 2016, anche sotto la neve. Quell’azienda non c’è più. E la battaglia dell’Appennino si è spostata a Gaggio.  

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