Fico Bologna, Francesco Piccolo presenta l’ultimo libro ‘L’animale che mi porto dentro’

Lo scrittore e sceneggiatore dialogherà venerdì 26 aprile con Oscar Farinetti sulla condizione dell’uomo contemporaneo

Francesco Piccolo sarà ospite venerdì 26 all’Arena Teatro di Fico con Oscar Farinetti: insieme presenteranno ‘L’animale che mi porto dentro’

Francesco Piccolo sarà ospite venerdì 26 all’Arena Teatro di Fico con Oscar Farinetti: insieme presenteranno ‘L’animale che mi porto dentro’

Bologna, 26 aprile 2019 - Se dentro l’uomo c’è un animale, la colpa non è della natura. Parola di Francesco Piccolo che nell’ultimo suo libro ‘L’animale che mi porto dentro’ torna su un tema a lui caro, quello della cultura maschile e dei condizionamenti atavici che portano spesso l’uomo a comprimere sentimenti e sensibilità a favore di una spocchiosa esibizione di virilità. Questioni profonde e irrisolvibili («Sono pessimista, il cammino è ancora lunghissimo, se mai arriverà a compimento») che affronterà il 26 aprile alle 19 nel Teatro Arena di Fico in un dialogo col ‘padrone di casa’ Oscar Farinetti.

Il maschio prepotente non nasce quindi così?

«No, sono secoli di cultura che gli hanno dato l’imprinting e hanno radicato concetti che, tuttavia, si possono anche estirpare. Alla fine, sono anche possibilista, perché se ci fossero di mezzo la natura e l’istinto, non si potrebbe proprio fare nulla».

Allora sono solo alibi quelli che vogliono il maschio in crisi e, spesso per questo violento, per colpa di donne troppo emancipate?

«Le ‘virago’ non c’entrano, c’entra la fragilità dell’uomo. Il mio protagonista da ragazzino soffre per amore, ha i brufoli, non riesce a salire sulla pertica e proprio questa sua inferiorità ha nutrito e rafforzato il senso bestiale interiore».

Ma oggi la virilità classicamente intesa non è demodé in una società che ha abbassato le barriere contro l’omosessualità?

«La società cambia in realtà più in fretta del maschio che tende a far resistenza e se anche finge di abbandonarsi al progresso, dentro continua ad avere questa bestia reazionaria che combatte per imporsi».

Nel 2008 aveva già affrontato il problema in ‘La separazione del maschio’, dieci anni dopo è ancora alle prese con questo rovello. Si è dato una spiegazione?

«Credo che l’autodenuncia collettiva e il raccontarsi siano il primo passo per un genere come quello maschile che ha fatto poco rispetto alle donne. Simone de Beauvoir, che cito nel libro, diceva che gli uomini non racconterebbero mai la loro condizione. Quindi il fatto di farlo, di leggersi dentro, di riconoscere la presenza di questo animale che li affligge è un buon punto di partenza».

Ci sono uomini che si definiscono femministi: è un ossimoro?

«Direi che non lo fanno solo per atteggiarsi, forse sono anche sinceri. Però le parole hanno un valore che non esaurisce il loro compito di liberarsi dell’ancestralità di cui sono vittime. Io mi sento iperfemminista, ma continuo a pensare di dovermi mettere ugualmente sul banco degli accusati, degli imputati. La posizione di un singolo vale però poco di fronte a un enorme enigma culturale».

Però in un mondo dominato dal culto dell’immagine, non è più importante apparire che essere?

«L’immagine ha cambiato anche l’immaginario. Qual è, per esempio, oggi quello della sinistra? E comunque una bella immagine non so quanto possa affrancare dai legacci che imprigionano l’uomo, mentre sicuramente la bruttezza acuisce la fragilità».

La fragilità nel suo libro è peraltro una virtù faticosamente conquistata...

«Il personaggio cui do la mia identità fa di tutto per eliminare l’arroganza e acquistare sensibilità, ma è un atto brutale verso se stesso perché significa distruggere tutto l’armamentario che il suo genere ha ereditato e difeso per secoli. Quindi è un processo che genera sofferenza e dolore. La novità del libro è proprio il palesare queste caratteristiche, smettendo di essere schiavo di se stesso».

Lei si sente un uomo di oggi?

«Assolutamente no. Sto cercando di riscattarmi come individuo trovando un equilibrio con la mia parte peggiore perché non penso di aver riscattato del tutto gli stereotipi. Sto tendendo a far pace con questa parte di me ma il traguardo non è raggiunto».