Bologna, 10 gennaio 2013 - IL SUO NOME circolava all’interno della galassia montiana da settimane. Ma lui, fino all’ultimo, non ha sciolto le riserve. Luigi Marino, presidente di Confcooperative, ha aspettato che fosse Mario Monti stesso ad annunciare la sua candidatura come capolista al Senato in Emilia Romagna.
Come mai ha aspettato così tanto per sciogliere le riserve?
«Perché nella mia vita sono sempre stato abituato a essere certo delle decisioni, non metto il carro davanti ai buoi».
Lascerà il suo incarico in Confcooperative?
«Certamente. E’ stata una scelta difficile, ma ho sempre predicato l’autonomia dai partiti e dalla politica. Ieri (martedì), quando è stata definitiva la mia candidatura, ho rassegnato le mie dimissioni».
Da quanti anni fa parte della struttura di Confcooperative?
«Da quando avevo 19 anni. E ora ne ho 65... Facile fare i conti. Ho lasciato il mio incarico con le lacrime agli occhi, col magone».
Prima di scendere in campo ha chiesto garanzie alla compagine di centro?
«Non ho chiesto assolutamente garanzie. La mia valutazione è stata questa: se verrà valorizzato il mio ruolo allora mi metterò a disposizione per realizzare il progetto di Monti».
Come mai ha deciso di correre per la lista di Monti?
«Perché si tratta di una nuova formazione politica. La causa dell’attuale crisi economica italiana credo sia frutto della Seconda Repubblica, durante la quale è stato rappresentato il peggio della classe politica. E ora le proposte riproducono ancora una volta quegli stessi schemi. Invece credo che il lavoro svolto dal Governo Monti sia stato importante per risanare e modernizzare il Paese».
Lei parla di necessità di modernizzazione e di replica di vecchi schemi politici. Ma i vertici dei partiti che appoggiano Monti non sono facce nuove.
«Io non sono per le cesure totali con il passato. Anche perché non esiste una società civile tutta ‘pulita’ e una società politica tutta ‘sporca’. Penso a Casini, ad esempio: sarà anche parte della prima e della seconda Repubblica, ma è stato all’opposizione negli ultimi sette anni»
A Bologna si discute molto di sussidiarietà, tema caro alle cooperative. Pensa che questa città riuscirà ad adottare un sistema pubblico-privato?
«Ormai abbiamo imparato la ‘grammatica’ della sussidiarietà. Sappiamo cosa significa la parola, ma la pratica ancora non c’è. Penso ad esempio alle aziende servizi, che da quando sono quotate in Borsa vedono un aumento delle bollette senza un aumento dei servizi. Non sarebbe forse meglio fare come accade in America, dove questi servizi sono affidati a cooperative di utenti, che hanno interesse nel mantenere basse le tariffe? Ma la pratica del ricorso alla società civile è tenuta lontano, se non dalla politica dai comitati. Basta guardare il caso bolognese sulle scuole paritarie».
 

Saverio Migliari